Il papa in Turchia, i cristiani sperano in una nuova primavera
Padre Claudio Monge, da dodici anni vive a Istanbul e racconta le fatiche dei cristiani: «Non abbiamo a che fare con una politica di ostruzionismo nei confronti della Chiesa cattolica quanto piuttosto con una politica guardinga nei confronti degli stranieri e la chiesa cattolica è costituita fondamentalmente da stranieri». Grande attesa per la messa che il papa celebrerà nella cattedrale del Santo Spirito.
Sedici milioni di abitanti in un mare di case che si estende lungo lo Stretto del Bosforo
Istanbul, metropoli impossibile da decifrare, posta a crocevia tra il continente europeo e quello asiatico.
In questa città sorvolata dai gabbiani e avvolta dal fascino e dal mistero, papa Francesco arriverà domani dopo i saluti oggi ad Ankara alle autorità politiche del paese. Ad accoglierlo ci sarà l’amico fraterno, il patriarca ecumenico di Costantinopoli che lo ha invitato per festeggiare la solennità della festa di Sant’Andrea al Fanar.
Il governo turco ha dato l’accordo ufficiale alla visita di papa Francesco in Turchia solo a settembre e per questa piccola comunità cristiana non deve essere stato facile preparare questa visita in tempi record. Mancano poche ore, tutto è “quasi pronto” e Istanbul aprirà le sue braccia al papa, con le sue sfide, le sue ricchezze, il grande dolore di un Medio Oriente in fiamme che bussa alle sue porte.
Impossibile chiedere quanti siano i cattolici in Turchia perché la risposta ufficiale è una cifra che si aggira sui 15 mila fedeli.
Ma il dato risale a statistiche vecchie di 50 anni e nel frattempo il volto della chiesa di questo paese è cambiato e non perché i cattolici se ne sono andati via ma perché ne sono arrivati altri, per immigrazione. È l’immagine dunque di una chiesa universale, costituita da quattro riti diversi: armeni, caldei, siro-cattolici e latini.
Una chiesa da sempre alle prese con una serie di problemi legati alla mancanza di un riconoscimento giuridico da parte dello stato. “Legalmente” non esiste e per sacerdoti e religiosi è difficilissimo ottenere ogni anno il permesso di soggiorno.
C’è poi la perdita progressiva dei beni immobili a causa di un meccanismo di intestazione delle strutture religiose ai singoli sacerdoti. Non potendoli intestare a enti religiosi perché non riconosciuti, alcuni sacerdoti ne diventano gli intestatari ma al momento del loro decesso, questi beni vengono di fatto presi dal governo.
È il caso di un immenso terreno delle suore delle Figlie della carità che è finito così nelle “casse” del municipio.
«È inutile illudersi – dice padre Claudio Monge, frate domenicano che vive a Istanbul da quasi dodici anni – che l’arrivo di papa Francesco in Turchia possa risolvere questi problemi in tempi brevi. In realtà non abbiamo a che fare con una politica di ostruzionismo nei confronti della chiesa cattolica quanto piuttosto con una politica guardinga nei confronti degli stranieri e la chiesa cattolica è costituita fondamentalmente da stranieri. Ma se il papa può accendere i riflettori dell’attenzione mediatica su questa situazione, ciò non basta da solo per innestare l’inizio di una nuova primavera per la chiesa in Turchia. Occorre un movimento quotidiano che chiama in causa tutti».
L’augurio è che la presenza di papa Francesco a Istanbul dia «una scossa che obbliga i cattolici a ritornare all’essenziale e a stringerci in ciò che ci accomuna, pur nelle nostre diversità».
E se la macchina organizzativa del viaggio papale a Istanbul ha «messo in qualche modo a nudo la nostra povertà di forze», dall’altra ha messo anche in luce – dice padre Monge – «la straordinaria ricchezza che rappresentiamo».
La messa che il papa celebrerà per esempio nella cattedrale del Santo Spirito, seguirà una liturgia “inter-rituale” e metterla a punto «è stata un’impresa che sfugge ai canoni classici della liturgia». Turchia, paese cuscinetto tra l’Europa e l’avanzata violenta dell’Isis che spinge con il sangue e la sopraffazione a sud del paese.
Un milione e 700 mila sono i profughi siriani presenti in Turchia e 22 i campi allestiti dal governo. Sono arrivati anche qui, in 300 mila, ad Istanbul. E con loro ci sono anche afghani e iracheni. Hanno il volto delle donne e dei bambini. Sono dappertutto, ai bordi delle strade, sotto i ponti, protetti dalle impalcature dei palazzi in ristrutturazione. Tanti i bimbi piccoli, anzi piccolissimi. Stretti al petto dalle loro madri, avvolti con coperte e cappottini per proteggerli da un inverno che chissà perché qui è arrivato forte e gelido.
Solo un anno fa Istanbul non era così. Si rincorrono anche qui le voci di un possibile incontro di papa Francesco con i profughi. L’unica cosa certa – dice Rinaldo Marmara direttore della Caritas Turchia – è l’incontro del papa con i bambini e i ragazzi profughi accolti nella scuola dei salesiani. A pochi passi dalla cattedrale cattolica di Istanbul. È frequentata da un flusso di 200/250 ragazzi e ragazze dai 12 ai 15 anni che varia a seconda dei periodi. Vengono preparati ad affrontare «la loro nuova vita in America o in Canada con corsi di inglese ma anche supportati da professori di arabo».
Se alla Caritas non è consentito entrare nei campi profughi allestiti dal governo, vari sono i progetti, sostenuti anche grazie all’aiuto di Caritas italiana: ai profughi presenti a Istanbul, per esempio, vengono fatti arrivare coupon alimentari, pacchi con prodotti per l’igiene, vestiario, medicine, «ma soprattutto coperte, maglioni e cappotti per aiutarli ad affrontare l’inverno».