Il morbillo letale. La storia della famiglia Peer e dei loro sei bambini, sconfitti dal morbo in una manciata di giorni
Nel 1904 non esisteva ancora un vaccino contro il morbillo. Studi scientifici ritengono che, prima dell'introduzione del vaccino, ogni anno in tutto il mondo morissero di morbillo sette-otto milioni di bambini.
Se oggi si vuole cercare una data o un nome, o se si desidera sapere di più di un determinato fatto o avvenimento, non dobbiamo far altro che sfoderare dalla tasca lo smartphone e fare una rapida googlata oppure è sufficiente rivolgersi ai consulenti digitali Alexa e Siri.
Ci sono pagine di storia, però, che sfuggono alle moderne tecnologie. Quella che state per leggere è una di queste.
Correva l’anno 1909. Anche in Sudtirolo – che all’epoca faceva parte dell’Impero austro-ungarico – era giunta l’eco del disastroso terremoto di Messina (28 dicembre 1908). E mentre si organizzavano raccolte di fondi per le popolazioni colpite da uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo, la terra tremò anche a Bolzano. Come ricorda nell’edizione del 14 gennaio il giornale di allora, il “Bozner Nachrichten”, due scosse di terremoto vengono avvertite nella notte anche in città. Si scoprirà più tardi che l’epicentro era a Finale Emilia e a Bondeno, in Val Padana. Il giornale riporta la testimonianza del “guardiafuoco”, che dormiva nel campanile del duomo, pronto a dare l’allarme in caso di incendio: l’uomo è arrivato a temere per la stabilità del manufatto che aveva preso ad oscillare.
Ma quello non sarebbe stato l’unico fatto che tra gennaio e febbraio di quell’anno avrebbe scosso la città.
La famiglia Peer viveva in un maso a Gries, che allora era un piccolo comune indipendente (sarà solo nel 1925, durante il periodo fascista, che diverrà un quartiere del capoluogo altoatesino, per consentire così l’espansione “della grande Bolzano” voluta dal regime).
Le giornate di papà Valentin erano scandite dal lavoro nei campi, mentre mamma Anna si prendeva cura dei loro figli, quattro maschi e due femmine. Il più grande aveva 9 anni, la più piccola 2 e mezzo.
Le temperature di gennaio sono particolarmente rigide e i bambini iniziano ad avere po’ di tosse, il naso che cola e qualche linea di febbre. Un raffreddore, avrà pensato mamma Anna. Quando, però, sulla pelle dei bimbi iniziano a comparire i primi puntini rossi, si comprende ben presto che quelli che parevano essere i sintomi di un “normale” raffreddore, nascondevano qualcosa di assai più pericoloso. Chiamano il medico. “Masern”, morbillo.
La prima ad essere sconfitta dal Paramyxovirus è Anna, che non ha ancora compiuto 6 anni. Muore il 26 gennaio. Il giorno dopo il morbillo si prende Lorenz, che di anni ne aveva 3. I due bimbi vengono sepolti nel cimitero della parrocchiale il 29 gennaio e quello stesso giorno il virus uccide anche Elisabeth, la più piccola di casa (2 anni e mezzo). Una settimana più tardi, il 5 febbraio, muoiono di morbillo anche il primogenito Valentin (9 anni) e Johann, che il 21 dicembre aveva festeggiato il suo 8° compleanno. L’ultimo a perdere la battaglia contro il virus, il 6 febbraio, è Josef. Era nato il 4 maggio 1904.
All’epoca non esisteva ancora un vaccino contro il morbillo. Studi scientifici ritengono che, prima dell’introduzione del vaccino, ogni anno in tutto il mondo morissero di morbillo sette-otto milioni di bambini.
Il primo vaccino fu sviluppato negli Stati Uniti da Maurice Hilleman e venne reso disponibile nel 1963; un suo miglioramento arrivò cinque anni più tardi, nel 1968. Grazie alle vaccinazioni, il morbillo, come malattia endemica, è stato eliminato dagli Stati Uniti nel 2000, ma il virus continua ad essere presente perché portato dai viaggiatori internazionali. Lo scorso anno in Italia – complice anche il lockdown – da gennaio a ottobre sono stati segnalati solo 101 casi di morbillo.
A ricordare ancora oggi Anna, Lorenz, Elisabeth, Valentin, Johann e Josef è una lapide, posta sul muro di cinta del piccolo cimitero attorno alla vecchia parrocchiale di Gries. “Qui riposano nel Signore i nostri indimenticabili figli”, fecero scrivere Valentin e Anna sulla lastra di marmo che pare fissare nel tempo anche l’ultimo dialogo tra i sei bambini e i loro genitori. “Il Signore, nella sua santa volontà, ci ha chiamati a sé molto presto – si legge nella parte bassa della lapide –. Non piangete, noi siamo arrivati alla meta e da qui vi pensiamo pregando”.
La drammatica vicenda della famiglia Peer è stata riscoperta in questi giorni da Oswald Stimpfl, guida turistica altoatesina, che ha pubblicato la foto della lapide sulla sua pagina Fb.
Dopo mesi di fermo forzato a causa del Covid-19, venerdì 21 maggio, in occasione della giornata mondiale delle guide turistiche, sono riprese in Alto Adige le visite guidate. All’aperto, in piccoli gruppi e su prenotazione.
Oswald Stimpfl ha scelto di ripartire con le sue escursioni proprio dal cimitero della vecchia parrocchiale di Gries e dalla storia di Anna e Valentin e dei loro sei figli, uccisi in una manciata di giorni da un virus, che continua purtroppo ad essere presente ancora oggi, ma che, grazie ai vaccini, circola e colpisce con sempre maggiore difficoltà.