Adhd. Ne soffre il 5 per cento dei bambini, ma si può fare una vita normale

Nel mese europeo della consapevolezza, un convegno dell’Associazione famiglie Adhd fa il punto sul disturbo. La presidente Stacconi: “L’Italia è indietro, non c’è una legge né linee guida”

Adhd. Ne soffre il 5 per cento dei bambini, ma si può fare una vita normale

Da piccoli hanno difficoltà a casa e a scuola, dove risultano spesso iperattivi, impulsivi, disattenti. Da adulti possono accumulare fallimenti in ogni ambito: collezionano più separazioni e divorzi, perdono più facilmente il posto lavoro, hanno più difficoltà nell’interazione con gli altri, per non parlare della maggiore probabilità di incorrere in problemi seri come incidenti, reati, suicidi, abusi di sostanze. Sono le persone con Adhd, quel Disturbo da deficit di attenzione e iperattività che tiene sulla corda insegnanti e genitori, al centro negli ultimi anni di campagne negazioniste, che accusavano medici e psicologi di affibbiare facili etichette a bambini considerati troppo vivaci, ribelli o fuori dalle righe. Delle molteplici sfaccettature di questo disturbo, che riguarda il 5% dei bambini, si parlerà sabato 8 ottobre a Roma durante il convegno “Gli aspetti dell’Adhd nel corso della vita”, organizzato dall’Aifa Aps, l’Associazione italiana famiglie Adhd, nata nel 2002 per dare sostegno ai familiari e sensibilizzare l’opinione pubblica. “È importante tornare con un incontro in presenza proprio quest’anno che la nostra associazione compie 20 anni di vita – commenta la presidente Patrizia Stacconi –. Ed è importante farlo proprio nel mese di ottobre, considerato a livello europeo come il mese della consapevolezza sull’Adhd.

Secondo le stime prodotte da Aifa Aps sulla base della prevalenza indicata dal DSM5, l’edizione 2013 del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, in Italia ci sarebbero circa 950mila adulti e 330 minori con Adhd, di cui 66mila colpiti da una forma più grave del disturbo. “Le persone possono seguire traiettorie evolutive diverse – aggiunge Stacconi – perché l’Adhd si presenta quasi sempre in comorbidità con altri disturbi mentali, ma con una diagnosi e una presa in carico precoce si può svolgere una vita assolutamente soddisfacente. Il problema principale è che l’Italia è indietro, non ci sono né un’apposita legge né le linee guida per la diagnosi e la presa in carico terapeutica”.

Bambini e Adhd

“Se opportunamente trattati, i ragazzi con Adhd possono avere un’ottima qualità della vita, evitando le tante comorbidità possibili, come per esempio il disturbo della condotta e il disturbo oppositivo provocatorio – conferma Luigi Mazzone, primario di Neuropsichiatria infantile al Policlinico universitario Tor Vergata di Roma –. Un riconoscimento precoce ci aiuterà ad attuare un trattamento e una presa in carico precoci, con ripercussioni positive sulla qualità della vita del bambino e della famiglia, con un contenimento dei costi per il Sistema sanitario nazionale. Due terzi dei ragazzi con Adhd va incontro, nell’età adulta, a una vita normale”. Uno dei problemi principali dell’Adhd è quello di distinguere il disturbo da un comportamento particolarmente esuberante. Perché a fronte di percorsi diagnostici ben definiti e standardizzati, resta la difficoltà della famiglia, prima, e dell’individuo adulto, poi, a riconoscere i propri problemi di adattamento come sintomi da indagare. “Ma attenzione – avverte il neuropsichiatra – nessuno pensa di medicalizzare ragazzini con l’argento vivo addosso. Quando si parla di Adhd, non c’è il bianco e il nero. Non c’è un tampone che ti dice se sei positivo o negativo come per il Covid. Si tratta piuttosto di una dimensione, come la febbre o come la pressione arteriosa: quando i sintomi di iperattività superano la soglia critica, subentra un problema di compromissione funzionale. Insomma, se il ragazzino prende spesso delle note a scuola, viene bocciato, non ha amici, ha poca autostima, si sente depresso, allora abbiamo il dovere di intervenire”. Nel percorso di cura, poi, la terapia farmacologica rappresenta di solito l’ultimo step: viene cioè generalmente usata in affiancamento alla pratica della psico-educazione e della terapia cognitivo comportamentale, quando queste da sole non bastano a ottenere i risultati sperati. “Ci sono ragazzini diversi con bisogni diversi – sottolinea Mazzone –. Di volta in volta il bravo medico deve analizzare i bisogni specifici e decidere per una psicoterapia o per una terapia farmacologica, in base alle esigenze del bambino”.

Adulti e Adhd

Naturalmente il Disturbo da deficit di attenzione e iperattività non cessa al compimento del 18esimo anno di età. In assenza di una diagnosi da bambini, il riconoscimento del disturbo diventa però ancora più difficile da individuare. Spesso, chi ottiene la diagnosi da adulto arriva nei Centri di riferimento per la diagnosi e cura dell’Adhd con problemi di ansia, depressione, disturbo bipolare dipendenza da sostanze o da farmaci. A rendere più difficile il riconoscimento dei sintomi, vi è anche il fatto che, con l’età, l’iperattività tipica dei bambini con Adhd tende a scomparire a livello corporeo, per lasciare il passo a un ininterrotto lavorio del cervello, che rende più difficile la concentrazione. “Il nucleo del disturbo è l’incapacità di mantenere l’attenzione e la concentrazione, con un impatto sociale importante”, spiega Andreas Conca, direttore del Comprensorio sanitario di Bolzano e promotore, nel 2010, del primo ambulatorio pubblico italiano per la diagnosi e cura dell’Adhd. “Spesso ci troviamo di fronte ad adulti meno istruiti, con lavori più precari e situazioni relazionali difficili. Insomma, il nucleo neurobiologico impatta sullo sviluppo della personalità e sul versante affettivo, lavorativo e relazionale”. La mancanza di una diagnosi, ovviamente, non fa che aggravare la situazione. Per questo ambulatori e centri come quello di Bolzano sono così importanti: non solo riescono a garantire la continuità della cura alle persone con Adhd che, a causa dell’età, non vengono più seguite dai servizi rivolti all’età evolutiva, ma possono anche fornire una risposta a tanti adulti, che non sono ancora riusciti a comprendere la ragione delle proprie difficoltà. “In Italia siamo purtroppo in forte ritardo, dall’ultima analisi che abbiamo fatto su oltre 200 Dipartimenti di salute mentale è emerso che solo il 12% si occupa di questo disturbo – precisa Conca –. Dare un nome e cognome al proprio disagio attraverso una diagnosi rappresenta di per sé un elemento curativo, perché sapere di avere un vero e proprio disturbo e non di essere semplicemente dei tipi strani cambia il modo di vedere sé stessi e impatta sull’autostima. La diagnosi è un momento illuminante, anche se di grande sofferenza. A quel punto si può cominciare una terapia basata su tre colonne: i farmaci, la psicoterapia o la psico-educazione e il supporto socio-educativo. Insomma, con gli strumenti appropriati – conclude lo psichiatra – si può arrivare al recupero totale delle capacità sociali, relazionali e lavorative e, a volte, anche alla guarigione”.

Il convegno, organizzato da Aifa Aps in collaborazione con il Policlinico Tor Vergata, si svolgerà in presenza l’8 ottobre (ore 8.30-18.30) nelle aule della Facoltà di Medicina dell’ateneo (Via Montpellier n. 1 - Roma). Per partecipare è possibile iscriversi qui.

Antonella Patete

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)