80 anni da Auschwitz. Suor Loparco: “L’impegno degli ambienti cattolici salvò molti ebrei e ricercati”
Sono trascorsi 80 anni da quel 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. La scoperta di quel luogo divenne l’occasione per far conoscere al mondo la tragedia vissuta da molti, anche grazie alle testimonianze dei sopravvissuti. Ma Auschwitz richiama alla memoria anche coloro che, grazie all’ospitalità offerta da tante persone e realtà, non varcarono mai i confini del campo. Suor Grazia Loparco, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma, ricorda l’impegno degli ambienti cattolici a Roma e in Italia nell’accoglienza di numerosi ebrei e altri ricercati
Sono trascorsi 80 anni da quel 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, dove erano stati deportati ebrei, zingari, dissidenti, ecc. La scoperta di quel campo – abbandonato qualche giorno prima dai soldati tedeschi – permise al mondo di conoscere la tragedia vissuta da milioni di uomini, donne, anziani e bambini. Questa data fu scelta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2005 come Giornata della Memoria. In Italia fu accolta e stabilita nel 2000 con la legge 211 del 20 luglio, “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. La memoria – spiega suor Grazia Loparco, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma – può restituirci profondità di conoscenza e giudizio, può stimolare a riflettere sull’incidenza delle scelte nella vita delle persone, sulle conseguenze nella breve e lunga scadenza, sulla responsabilità dinanzi a sé stessi e agli altri. Oggi la memoria diventa urgenza di tornare a ragionare sull’accaduto senza anacronismi riduttivi, per riappropriarci dell’umano che c’è in noi.
La Giornata della Memoria è stata istituita per non dimenticare un terribile crimine, ma è anche l’occasione per riflettere sull’ospitalità offerta agli ebrei e ad altri ricercati da parte di ambienti cattolici. Come si concretizzò questo impegno, in particolar modo a Roma?
Mi sembra che oggi sia assodato e ben documentato l’impegno di fedeli laici, religiose e religiosi, sacerdoti, vescovi e Santa Sede nel nascondere ebrei ricercati ingiustamente dal regime di allora. L’impegno ha avuto mille sfaccettature secondo le circostanze immediate, l’intraprendenza, il coraggio e la generosità di chi ha rischiato. Nei collegi, nelle case, nei monasteri, sono state nascoste intere famiglie, o uomini e donne separatamente, donne con bimbi piccoli, ragazze e ragazzi. Sono state simulate malattie e interventi chirurgici fittizi negli ospedali e case di cura. Nei monasteri femminili, i clandestini venivano presentati come inservienti o giardinieri. In alcuni casi si arrivò a far indossare gli abiti religiosi per mascherare l’identità dei ricercati. Lì dove erano ospitati, gli ebrei stavano in disparte o davano una mano in qualche mansione. Se erano ragazzi in età scolastica, si stava ben attenti a non sbagliare il nome nuovo loro attribuito. In vari casi furono stampati documenti falsi. Il coinvolgimento ha riguardato sia parrocchie che case religiose, il Vicariato di Roma e vari edifici della Città del Vaticano, così come undici monasteri femminili di clausura nella sola città di Roma.
Quante persone sono state accolte in Italia e a Roma, ospiti di monasteri, case religiose e parrocchie?
È difficile, se non impossibile, quantificare esattamente le persone nascoste nelle diverse strutture ecclesiali della penisola, perché la documentazione a nostra disposizione è incompleta. Di certo possiamo affermare che si trattò di migliaia di persone. Solo a Roma si stima che siano oltre 4.300 gli ebrei che hanno trovato accoglienza. A questi si aggiungono tanti altri nomi emersi da ricerche effettuate nel corso dell’ultimo ventennio.
Ci può raccontare qualche storia significativa?
Alcune storie, come quella di Lia Levi, ospitata presso le suore di San Giuseppe al Casaletto a Roma, o di Emanuele Pacifici, nascosto dalle suore di Santa Marta a Settignano, vicino Firenze, sono note. Solo lo scorso anno è emerso un frammento su Claudio Amati, un ragazzino ebreo di 14 anni nascosto dai religiosi dell’ordine di don Calabria a Primavalle. Amati perse la vita proprio il 5 giugno 1944 in uno scontro a fuoco tra nazisti e alleati.
Quali sono stati i rischi per chi ha accolto?
Era severamente vietato nascondere clandestini e chi contravveniva rischiava l’arresto con le sue conseguenze. La paura delle perquisizioni, dopo che nel settembre del ’43 erano state requisite proprietà, impedì a molti di lasciare scritti o elenchi finché durò l’occupazione. La violenza subita in luoghi come il Seminario Lombardo o San Paolo fuori le Mura reiterò momenti di terrore quando si diffondeva la voce di perquisizioni imminenti.
In che modo era organizzata la rete di assistenza e quale è stato il contributo della Santa Sede?
Dall’Archivio Apostolico Vaticano emerge una singolare macchina di carità, di vastissime proporzioni. Il Sostituto della Segreteria di Stato, mons. Montini – poi papa Paolo VI – ne fu l’anima, avvalendosi di molti collaboratori. Sarebbe interessante esplorare l’intervento della Commissione di assistenza pontificia, operosa fino all’autunno 1945.
Raffaele Iaria