Un calendario serrato per il Parlamento: tra economia e riforme collegate al referendum
Ci si è messo anche il Covid a complicare un calendario politico-parlamentare estremamente denso di temi e di scadenze, tra gli impegni cruciali in materia economica e l'accidentato percorso delle riforme più o meno collegate al recente referendum. Contagi permettendo, lunedì arriva in Aula al Senato il “decreto agosto” che dev'essere convertito in legge entro il 13 settembre e attende di essere votato anche dalla Camera. La prossima settimana il Parlamento dovrà esprimersi anche sulle linee-guida per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la legge di bilancio va presentata alle Camere entro il 20 ottobre. Il 15 ottobre dovrà essere inviato alle istituzioni europee il Documento programmatico di bilancio (Dpb). In aggiunta a ciò, la "legge Fornaro", che riduce di un terzo il numero dei delegati regionali partecipanti all'elezione del presidente della Repubblica, è prevista in Aula alla Camera il prossimo 23 ottobre.
Ci si è messo anche il Covid a complicare un calendario politico-parlamentare estremamente denso di temi e di scadenze, tra gli impegni cruciali in materia economica e l’accidentato percorso delle riforme più o meno collegate al recente referendum.
Contagi permettendo, lunedì arriva in Aula al Senato il “decreto agosto” che dev’essere convertito in legge entro il 13 settembre e attende di essere votato anche dalla Camera. La prossima settimana il Parlamento dovrà esprimersi anche sulle linee-guida per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), elaborate dal governo nella prospettiva dell’impiego dei fondi straordinari dell’Unione Europea, una vicenda che inciderà in modo decisivo sulle scelte di politica economica dei prossimi anni. A cominciare dalla manovra economica per il 2021: la legge di bilancio va presentata alle Camere entro il 20 ottobre e nelle intenzioni del ministero dell’Economia dovrebbe concentrarsi su riforma fiscale e assegno unico per i figli.
Ma prima devono essere compiuti alcuni passaggi fondamentali.
Innanzitutto il varo della Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), in cui il governo metterà nero su bianco le coordinate macroeconomiche su cui impostare la legge di bilancio. Il testo è stato già messo a punto nei giorni scorsi con un sostanziale accordo nella maggioranza e nel fine settimana dovrebbe essere approvato da un Consiglio dei ministri nel cui ordine del giorno dovrebbe figurare anche la modifica dei decreti Salvini sull’immigrazione. Si parla di una manovra da 40 miliardi e si stima per quest’anno un crollo del Prodotto interno lordo, la misura generale del sistema economico, pari al -9%
(comunque leggermente meglio delle previsioni di qualche mese fa e meno peggio di Francia e Spagna), con un rimbalzo del +6% il prossimo anno. Questi ovviamente sono numeri e bisognerà poi fare i conti con l’andamento dei contagi e dei concreti effetti sociali dei provvedimenti.
Il 15 ottobre dovrà poi essere inviato alle istituzioni europee il Documento programmatico di bilancio (Dpb), una sorta di sintesi delle scelte compiute per la manovra economica. Secondo quanto ha riferito il ministro Gualtieri in un’audizione parlamentare a metà settembre, il documento conterrà anche gli elementi-chiave del Pnrr: non solo le priorità generali, ma anche i nuclei progettuali portanti e la distribuzione delle risorse.
Per quanto riguarda le riforme costituzionali, si tratta ora di vedere se il taglio dei parlamentari riuscirà a diventare effettivamente l’innesco di un percorso di riforme utili per migliorare il funzionamento delle istituzioni o se rimarrà un atto isolato.
Alcuni degli interventi in campo sono mirati a bilanciare le conseguenze della riduzione dei membri delle Camere. Va in questa direzione la legge costituzionale (nelle cronache “legge Fornaro”, dal nome del primo firmatario) che riduce di un terzo il numero dei delegati regionali partecipanti all’elezione del presidente della Repubblica, per riequilibrare il peso rispetto ai parlamentari, ed elimina il criterio della “base regionale” nell’elezione dei senatori. Questo per consentire il disegno di circoscrizioni più ampie ed evitare che le forze minori non abbiano possibilità di rappresentanza nelle Regioni di piccole dimensioni, essendo diminuito il numero di seggi da assegnare.
La legge Fornaro è prevista in Aula alla Camera il prossimo 23 ottobre, ma siamo ancora alla prima lettura delle quattro richieste per la modifica della Costituzione. E in commissione tira aria di ostruzionismo da parte delle opposizioni: martedì inizierà il voto sugli emendamenti e si capirà subito il tenore del dibattito.
Decisamente più avanti è la legge costituzionale che introduce il voto dei diciottenni anche per il Senato e punta a rendere omogeneo il corpo elettorale dei due rami del Parlamento,
onde ridurre il rischio di maggioranze diverse tra due assemblee che svolgono gli stessi compiti (almeno fino a quando non si porrà mano alla riforma del “bicameralismo paritario”, come chiede il Pd), in particolare nel caso della fiducia al governo. Tale legge ha già avuto due letture e il 13 ottobre tornerà in Aula alla Camera. Se non ci saranno intoppi potrebbe avere il via libera definitivo entro la fine dell’anno.
Non sono riforme costituzionali, ma investono in misura rilevante il funzionamento delle istituzioni, altri due interventi strettamente connessi alla riduzione di deputati e senatori:la riforma dei regolamenti parlamentari e la riforma della legge elettorale.
Nel primo caso ogni Camera provvede a riformare il proprio regolamento e sono in ballo aspetti importantissimi del procedimento legislativo. Basti pensare al problema di come assicurare la rappresentanza proporzionale di tutti i gruppi all’interno delle commissioni parlamentari.
Quanto alla legge elettorale, teoricamente dovrebbe andare in Aula alla Camera il 26 ottobre, ma allo stato è realistico pensare che se ne parlerà dopo l’approvazione della legge di bilancio
e quindi all’inizio del 2021. Nella maggioranza si era raggiunto un accordo su un sistema ispirato a quello tedesco (subito ribattezzato Germanicum), con la distribuzione dei seggi su base proporzionale e una soglia di sbarramento del 5%. Ma tra i partiti che sostengono il governo si discute ancora sulla misura dello sbarramento e si polemizza sul tema delle preferenze. E c’è pure chi non disdegnerebbe un sistema prevalentemente maggioritario, quello preferito da Lega e FdI.