Sudan, dove i bambini muoiono di fame. Padre Naranjo: “Circolo vizioso di violenza e povertà”

Dallo scorso aprile il Paese africano è devastato da una sanguinosa guerra civile: popolazione stremata e senza cibo (500 bambini hanno già perso la vita e altre migliaia sono a rischio), fuga verso nazioni vicine già provate dalla miseria. Save the Children chiama la comunità internazionale a un intervento per la pace. Nel frattempo i missionari cercano di portare ogni aiuto possibile alle vittime del conflitto. Il comboniano racconta una situazione disperata

Sudan, dove i bambini muoiono di fame. Padre Naranjo: “Circolo vizioso di violenza e povertà”

La guerra tra le Rapid Support Forces e l’esercito regolare in Sudan, oltre alle migliaia di morti vittime delle bombe, sta causando anche “un processo a catena di impoverimento, precarietà di vita e sovraffollamento nei campi profughi sia in Ciad che nel Sudan stesso”. Ne parla con noi da Il Cairo, dove è costretto a restare, poiché gli è impedito di tornare nella sua missione in Sudan, il comboniano padre Jorge Carlos Naranjo.

“La gente scappa, ma non sa dove andare”. “Purtroppo per i civili che fuggono da una guerra già incancrenita, resta solo la possibilità dei campi profughi in Ciad, dove arrivano i fuggitivi del Darfur. Il 75% della gente resta in Sudan perché non sa dove andare. Si rifugia in quella parte di Paese al riparo dalla guerra”. La testimonianza di padre Jorge Carlos riflette una realtà durissima.

“Le condizioni di vita sono molto precarie e misere per tutti loro, senza possibilità di cibo sufficiente e di evacuazione in zone protette”.

Poi specifica: “L’Egitto e il Sud Sudan non hanno dato il consenso all’apertura dei campi profughi. Le loro frontiere sono aperte ma chi scappa dal Sudan, lì non viene accolto da operatori umanitari nei campi”.

Un Paese alla fame e spaccato in due. Nel Paese devastato, sia nel Darfur che nel Kordofan e nella capitale, il confronto armato violentissimo tra due comandanti militari rivali (Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Paese, e Hamdan Dagalo, leader delle Rapid Support Forces) e i rispettivi eserciti, prosegue senza sosta e senza cedimenti. Con la differenza che “nelle zone controllate dall’esercito la vita si avvicina a una semi normalità – spiega ancora il comboniano – e ci sono anche attività di mercato, questo almeno attorno ad Omdurman”. Non lo stesso avviene nelle aree occupate dalle Rapid Support Forces, che “usano sempre lo stesso sistema ovunque arrivano: il saccheggio e l’allontanamento forzato della gente dai villaggi”.

L’appello di Save the Children. Ieri Save the Children ha diffuso un rapporto-appello che descrive un Paese nel quale centinaia di bambini sono morti per fame o per malattie correlate alla malnutrizione. E a migliaia sono a rischio sopravvivenza. Dallo scoppio delle violenze, in aprile, l’organizzazione è stata costretta a chiudere 57 delle sue strutture nutrizionali, con 31.000 bambini in tutto il Paese che non hanno potuto ricevere cure per la malnutrizione e le malattie correlate. Nelle 108 strutture di Save the Children ancora attive, le scorte di alimenti terapeutici si stanno esaurendo, e le scorte di emergenza vengono ora utilizzate nei casi più estremi, puntualizza il documento.

“Non avremmo mai pensato di vedere così tanti bambini morire di fame in Sudan, ma questo oggi è diventato realtà”.

I bambini “gravemente malati arrivano tra le braccia di madri e padri disperati nei centri di nutrizione di tutto il Paese e il nostro personale ha poche opzioni a disposizione per curarli. Vediamo bambini che muoiono a causa di una fame del tutto evitabile”, ha dichiarato Arif Noor, direttore di Save the Children in Sudan. “Con l’accesso umanitario che si deteriora quotidianamente, la comunità internazionale deve farsi avanti e lavorare non solo per aumentare i finanziamenti, ma anche per trovare soluzioni collettive per garantire che il cibo e l’assistenza tanto necessari possano essere consegnati in sicurezza ai bambini e alle loro famiglie in tutto il Sudan”, il suo appello accorato.

I missionari e l’emergenza umanitaria. I missionari che restano in Sudan cercano come possono di favorire le azioni di evacuazione della gente e soprattutto la distribuzione di cibo. “Nella missione dei salesiani a Khartoum è stato anche allestito una sorta di rifugio con l’accoglienza di un centinaio di persone nei cortili della missione”, racconta padre Jorge. Ma questo tamponamento dell’emergenza non potrà durare a lungo: la guerra sta spingendo sempre di più il Sudan in un “circolo vizioso di povertà e peggiora le condizioni di vita dei poveri nei Paesi limitrofi che si trovano a dover accogliere gli sfollati”.

Il possibile ruolo dell’Unione Africana. Anche nel Sud Sudan già in crisi politica e sociale, l’arrivo degli sfollati genera un’emergenza umanitaria nei villaggi. Nonostante non vi sia il via libera all’allestimento dei campi, le persone in pericolo arrivano ugualmente, oltrepassando i confini. Solo un serio intervento dell’Unione Africana e della comunità internazionale potrebbe aiutare a risolvere parzialmente lo stallo della guerra e dissuadere i due generali a proseguire nella distruzione di un Paese già molto sofferente.

Ilaria De Bonis*

*redattrice di Popoli e Missione

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Fonte: Sir