Stati Uniti, Joe Biden dice "no" alle carceri private

La firma di un ordine esecutivo del nuovo presidente Usa proibisce di rinnovare i contratti con le agenzie che gestiscono gli istituti di detenzione privati. Sergio Grossi: “Nel momento in cui c’è un sistema di incarceramento privato, esiste la tendenza da parte degli stati ad aumentare la lunghezza delle pene e abbassare gli standard, per aumentare i profitti”

Stati Uniti, Joe Biden dice "no" alle carceri private

Tra i primi provvedimenti da presidente degli Stati Uniti, Joe Biden mette uno stop alle carceri private. E lo fa con la firma di un ordine esecutivo che proibisce al dipartimento di Giustizia di rinnovare i contratti con le agenzie che gestiscono gli istituti di detenzione privati, noti per le scarse condizioni di vita all’interno – motivo per cui l’ex presidente Barack Obama aveva tentato di ridurne l’uso. Negli ultimi anni, infatti, sono stati diversi i report che hanno evidenziato come le prigioni private abbiamo una pessima qualità rispetto a quelle pubbliche: tra le altre cose, ci sono più incidenti che riguardano la sicurezza delle persone incarcerate e molte più aggressioni dei detenuti sui detenuti.

“Queste sono evidenze del fatto che le condizioni e i servizi hanno una qualità peggiore – spiega Sergio Grossi, esperto di educazione e carcere, e dottore di ricerca all'università di Padova e alla Universidade Federal Fluminense di Rio de Janeiro –. Di fatto le carceri private violano il principio fondamentale per cui non si può fare profitto sulla vita delle persone incarcerate: ci sono ricerche che dimostrano che, nel momento in cui c’è un sistema di incarceramento privato, esiste la tendenza da parte degli stati ad aumentare la lunghezza delle pene e abbassare gli standard di vita, per aumentare i profitti”.

L’ordine di Biden è stato inserito tra i provvedimenti che lo stesso presidente ha definito ‘in favore di una maggiore equità sociale e razziale’: “C’è finalmente una presa di coscienza che il carcere colpisce principalmente i migranti e gli afro-discendenti – commenta Sergio Grossi –. Sono circa due milioni le persone detenute negli Stati Uniti, la popolazione carceraria più grande al mondo, di cui l’11 per cento si trova in istituti privati: gli interessi economici che ruotano attorno a questo settore sono enormi”.

Oggi ci si chiede allora: le compagnie private, che con l’amministrazione Trump avevano fatto grandi profitti soprattutto con i centri di detenzione per migranti irregolari, che ruolo avranno ora? Come si riconvertiranno? L’ordine del presidente Biden comunque riguarda solo le autorità federali, non quelle dei singoli stati, ed è per questo solo un primo passo per risolvere le ingiustizie presenti nel sistema giudiziario americano. “La chiusura delle carceri private inoltre non è la soluzione a tutti i problemi: non dimentichiamoci che esistono interessi privati anche nelle carceri pubbliche – continua Grossi –. Pensiamo a tutti i servizi che possono essere delegati ai privati, come i servizi di pulizia e di mensa, e agli interessi che ruotano attorno all’assunzione degli agenti penitenziari. I posti di lavoro che si generano intorno al settore carcere fanno sì che ci sia comunque un interesse affinché il sistema si espanda”.

E allora come risolvere il problema dell’incarceramento di massa? “Le prigioni private sono solo il mostro evidente, quello che serve è una riforma molto più profonda del sistema penale – conclude Grossi –. L’incarceramento di massa è legato alle politiche di contrasto al traffico di stupefacenti, la cosiddetta ‘guerra alla droga’, che di fatto si è trasformata in una guerra ai poveri. Chi finisce in carcere spesso non sono i grandi trafficanti, bensì gli ultimi anelli della catena: persone con un basso livello di educazione, spesso senza prospettive di lavoro e di vita. Una soluzione alternativa allora potrebbe essere quella di potenziare il welfare state, invece delle politiche punitive: i tagli allo stato sociale hanno portato a un aumento della precarizzazione e a una maggiore attrattività delle attività illegali. Ecco allora che il carcere diventa la principale politica pubblica per le persone ai margini, invece che dare un lavoro e dei servizi universali. Come ci ha ricordato il movimento Black Lives Matter, è urgente riconnettere la questione criminale con la questione sociale”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)