Società. De Palo: “L’Europa investa su natalità. Il ruolo dei cattolici è determinante. La persona è intrinsecamente degna”
Dopo le parole del card. Zuppi, nell’introduzione del Consiglio episcopale permanente in corso a Roma, riflettiamo con l’ideatore di “Immischiati” e presidente della Fondazione della natalità su alcuni spunti offerti dal presidente della Cei
La riscoperta delle centralità della persona da parte dei cittadini europei, uno sguardo ai problemi come l’invecchiamento della popolazione, le povertà, il fenomeno migratorio, il secolarismo e l’individualismo, la necessità di una “Camaldoli per l’Europa” per parlare di democrazia ed Europa, un’attenzione ai segni dei tempi, un maggiore protagonismo dei giovani per il rinnovamento dello stile nell’impegno sociale e politico, la Dottrina sociale come faro per una navigazione sicura nel mare della vita sociale, l’urgenza educativa che interpella tutti. Sono alcuni degli spunti offerti dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’introduzione al Consiglio permanente, in corso a Roma fino al 25 settembre. A partire da questi spunti ne riflettiamo con Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e ideatore del progetto “Immischiati” sulla Dottrina sociale della Chiesa.
Il card. Zuppi ha invitati i cittadini europei a riappropriarsi di quella storia e di quella cultura che ha fatto grandi le terre europee…
L’Europa deve fare una riflessione seria su quello che è. I nodi sono arrivati al pettine. L’Europa è utile per il mondo? La visione antropologica europea, la tutela dei diritti europea, il fatto che siamo un Continente che ha sempre messo al centro la persona umana è ancora utile per il mondo? Abbiamo ancora bisogno di questa visione? Abbiamo ancora bisogna della profondità di un pensiero complesso? Abbiamo bisogno dell’Europa? Abbiamo bisogno che il mondo viva la complessità nella quale l’Europa sia un faro? Gli altri Paesi anche occidentali sono entrati in una logica di contrapposizione, una logica manichea, una logica binaria. L’Europa rimane ancora un luogo dove i problemi vengono vissuti nella loro complessità: ora deve decidere se esserci o non esserci. Se pensiamo che l’Europa debba esserci perché abbiamo tanto da dare al mondo oggi così complesso, multiforme, il tema dell’inverno demografico, della natalità è centrale, altrimenti stiamo dicendo al mondo che il nostro modo di pensare, di tutelare le persone, i più fragili, i più piccoli, le donne è ormai sorpassato, perché abbiamo smesso di fare figli e questo indica che l’Europa non ha più speranza. Il Papa diceva agli Stati generali della natalità che la cartina di tornasole di un popolo è la nascita dei figli, è lì che si vede se un popolo ha speranza.
L’Europa sembra aver perso la speranza: oltre a essere un Vecchio Continente da un punto di vista storico, è un Vecchio Continente anche dal punto di vista della capacità di esserci.
L’Europa si è accartocciata su se stessa, perché se è una questione solo economica ci saranno Paesi che ci mangeranno in testa sempre, ci saranno Paesi emergenti che ci daranno filo da torcere e che hanno più risorse ed energia di noi. Allora, ribadisco, queste radici giudaico-cristiane, elleniche ci aggiungo, hanno senso? Pensiamo siano il modo migliore di vivere la vita? Oppure accettiamo la logica del dente per dente, dell’homo homini lupus? Oggi è in atto un grande sconvolgimento del mondo e sembra che l’Europa stia dicendo: abbiamo dato, avanti il prossimo. Il problema è che il prossimo non ha questa visione antropologica, con il prossimo magari i diritti dei bambini e delle donne e la persona non saranno al centro della politica, il concetto di bene comune cambierà e toccherà altre tematiche, la solidarietà sarà intesa diversamente da noi… Per questo dico che bisogna fare una riflessione su se stessi, vedere quali sono le nostre radici, capire se vogliamo esserci: io credo di sì perché abbiamo tanto da dare e da dire in questo tempo complesso, abbiamo ancora la capacità di fare da mediatori tra la Russia, gli Stati Uniti, tra il mondo islamico e altri mondi, chi lo fa se non l’Europa?
Per questo è importante l’aspetto demografico perché è la cartina di tornasole del fatto che abbiamo scelto di continuare.
Quale può essere il contributo dei cattolici per la democrazia in Europa?
I cattolici sono determinanti, perché se non si mettono a scimmiottare la politica, se abitano la complessità sono gli unici che possono mettere insieme, possono ricucire, possono tessere e rammendare un mondo e un tempo sfilacciato.
Oggi c’è sempre più necessità di cattolici in politica, nel lavoro.
Nella complessità attuale, quando c’è bisogno di fare un passo verso l’altro, verso il prossimo, di solito è sempre un cattolico. C’è un tessuto invisibile di cattolici che lavorano ogni giorno per il bene comune. La sussidiarietà oggi è cattolica: chi è che subentra, laddove non arrivano lo Stato, le Regioni, i Comuni? Subentrano la Caritas, le Vincenziane, Centro Astalli, le Acli, giusto per fare qualche nome. Se togli questo, il nostro Paese è centomila volte più povero non solo economicamente, ma anche a livello umano e sociale. Dei cattolici c’è sempre bisogno, perché c’è sempre bisogno di qualcuno che dà la vita, che rompe lo schema, che offre una visione diversa alle cose.
I cattolici che danno la vita sono determinanti, in Europa ancora di più, perché laddove c’è una complessità di differenze, di lingua, di cultura c’è bisogno della visione cattolica.
Non a caso, vince quasi sempre il Partito popolare le elezioni perché ancora abbiamo il desiderio di queste radici cristiane, il problema è che il Partito popolare non ha il coraggio di andare a fare le cose che fecero i primi padri dell’Europa, De Gasperi, Schuman e Adenauer.
Il cardinale ha parlato di attenzione ai segni dei tempi… Che impegno ne nasce per i cattolici laici?
Minimo comune denominatore tra tutti noi, nella Dottrina sociale della Chiesa, è il concetto di persona: per noi, a livello razionale, la persona umana è degna intrinsecamente, è degna per il solo fatto di esserci.
Il problema è che oggi per molte persone, per molti Paesi, per molte visioni ideologiche la persona umana è degna estrinsecamente, cioè è degna in base ai diritti che le riconosce uno Stato. A livello spirituale, ogni persona è degna intrinsecamente perché vale il sangue di Cristo. Questo è il centro, che poi viene assunto anche dalla Fratelli tutti. E questo è il centro della Dottrina sociale della Chiesa: per questo è importante parlare, riflettere, ragionare sulla Dottrina sociale della Chiesa, perché già i cattolici non hanno tanto chiara questa visione, a volte ci si concentra solo sui diritti del bambino nella pancia della mamma, altre su quelli dell’immigrato che sta sul barcone. La fatica e il futuro sono tenere insieme le due cose, è irrazionale distinguerle: se tu sei disposto a dare la vita per un migrante in mare non puoi non darla per un bambino nella pancia della mamma, se viceversa sei disposto a fare qualsiasi cosa per il bambino nella pancia della mamma non puoi non farti in quattro per il migrante sul barcone, questo è tenere insieme, questa è la Dottrina sociale della Chiesa. Tutto vale il sangue di Cristo: i miei genitori, il rom sotto casa, l’omosessuale, mio figlio con la sindrome di Down.
Riscoprire la Dottrina sociale può aiutare a promuovere un nuovo protagonismo dei giovani? Se siamo testimoni autentici riusciamo a trasmettere tutto ciò ai giovani?
Sì, solo se facciamo sentire il profumo del pane della Dottrina sociale della Chiesa, la quale, come il magistero della Chiesa, come la morale cattolica, non funziona per ingredienti. Ai giovani non possiamo dire: devi fare questo o quello. Non è una questione di elenco di ingredienti, non è un prontuario, non è un post su Instagram con un tutorial con le cinque cose da fare per capire la Dottrina sociale della Chiesa e vivere da cattolico.
Noi dobbiamo cercare di far sentire ai giovani il profumo del pane della Dottrina sociale della Chiesa, il profumo del pensiero sociale cristiano: se i giovani sentono il profumo saranno i primi a volerlo vivere.
Oggi invece facciamo ragionamenti diversi: diciamo che la partecipazione è un impegno categorico, le cose, però, non si fanno per dovere, ma per attrazione, per bellezza. Questo è il cambio di paradigma: cercare di far capire quanto è bello il concetto della persona umana che è degna intrinsecamente, è gratificante che la sussidiarietà sia qualcosa che viviamo già e sia stata già teorizzata nel compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Bisogna mettersi in gioco: la partecipazione nasce da un dono, ti rendi conto di quello che hai ricevuto e cerchi di dare la vita per ridare quello che hai ricevuto. Con il progetto “Immischiati” proviamo a fare questo: invitiamo i giovani ad aprire lo scrigno della Dottrina sociale della Chiesa, piace l’odore di quel pane profumato? Invitiamo a mangiarne un pezzo, poi magari viene voglia di mangiarlo tutto, di farne uno nuovo, di farne per altri.
Il cardinale ha parlato di urgenza educativa che deve riguardare tutti… Anche il progetto “Immischiati” ne è un esempio…
La parola urgenza è il centro, abbiamo l’urgenza, il desiderio perché abbiamo sperimentato cose belle e abbiamo bisogno di condividerle.
L’urgenza educativa è un po’ quella di Maria Maddalena che arriva al sepolcro, lo trova vuoto, incontra il Signore e corre dagli apostoli a dire che Gesù è risorto.
L’urgenza nasce dal sepolcro vuoto, se uno sperimenta che non c’è notizia più bella vuole diffondere la notizia e lo fa gratis, perché è bello, ne sente l’urgenza. Ed è quello che facciamo con “Immischiati”. La soluzione è spingere sull’acceleratore, è faticoso, ma bello.