“Sharenting”: quando una legge per bloccare questa moda?
Da qualche tempo, in particolare negli Usa, si parla di tutelare i minori sui social. Per qualcuno il problema semplicemente non esiste, basta guardarsi un po’ attorno, e non solo tra i vip: c’è chi pubblica la festa di compleanno del figlioletto, il suo primo giorno di scuola, le vacanze col costumino, addirittura si parte con l’ecografia del feto sul proprio account, ignorando il fatto che qualsiasi contenuto venga pubblicato online smetta irrimediabilmente di essere nostro per diventare, nei fatti, del mondo
Da qualche tempo, in particolare negli Usa, si parla di tutelare i minori sui social. Per qualcuno il problema semplicemente non esiste, basta guardarsi un po’ attorno, e non solo tra i vip: c’è chi pubblica la festa di compleanno del figlioletto, il suo primo giorno di scuola, le vacanze col costumino, addirittura si parte con l’ecografia del feto sul proprio account, ignorando il fatto che qualsiasi contenuto venga pubblicato online smetta irrimediabilmente di essere nostro per diventare, nei fatti, del mondo.
Il fenomeno si chiama “sharenting” e mixa il verbo “share”, condividere, con il “parenting”, l’essere genitori: forse non tutti sanno infatti che sono proprio loro, con foto e post, ad alimentarlo. I risvolti, tuttavia, sono preoccupanti: si stima che la maggior parte dei pedofili traggano il loro materiale direttamente dai profili di madri e padri ignari, pensando che la prole interessi solo ad amici e familiari stretti. In Italia, il report del 2023 di Meter, associazione dedicata alla lotta contro la pedofilia, ha visionato oltre 5.700 link e seguito 220 casi legati al web, mentre in Australia la e-Safety Commission ha rilevato come il 50% del materiale pedopornografico provenga proprio dai social. È facile osservare i numeri anche da soli, magari guardando i profili più famosi che hanno fatto della mostra dei bambini la loro caratteristica: la condivisione dei video e delle immagini dei minori ottiene solitamente un numero maggiore di visualizzazioni e download. Gli influencer lo sanno bene, ed è per questo che è più facile per alcuni puntare a contenuti che li valorizzino, magari costruendo assieme ai brand un’identità che possa letteralmente rendere il minore un testimonial d’effetto.
A ciò dunque, si aggiungono i problemi di privacy, ignorata nella maggior parte dei casi, e i risvolti psicologici che subentrano nel momento in cui si cresce con un cellulare puntato addosso h24. Lo scorso anno, in Francia, primo tra i Paesi europei, ha approvato una legge che limita per questo motivo l’esposizione dei bambini online, spiegando in breve come debbano loro e solo loro a decidere della propria immagine, una volta cresciuti. In Italia, da tempo, Serena Mazzini, social media strategist, analizza il fenomeno e, insieme ai deputati Bonelli, Zanella, Piccolotti e Fratoianni, ha presentato lo scorso marzo una proposta di legge per garantire il rispetto dell’intimità dei minori. Ciò nonostante siamo ancora lontani non solo da una reale riforma, ma anche solo da una vera presa di coscienza. Da un lato vorrebbe dire, per molti content creator, rinunciare a una succosissima fonte di guadagno, dall’altro, per molti genitori qualunque, pensare due volte prima di mettere sul web la foto del proprio pargolo, nonostante sia tanto caruccio.
Silvia Albrizio