Salmo 41. Come una moglie o una madre che si accosta al letto dei cari e mette una mano sulla fronte, così il Signore con noi

Ci sono momenti in cui, nella sofferenza, ci pare che nessuno riesca ad entrare nella nostra dimensione, ad immedesimarsi davvero.

Salmo 41. Come una moglie o una madre che si accosta al letto dei cari e mette una mano sulla fronte, così il Signore con noi

Anche gli ultimi scampoli di vacanza sono terminati e tutti ormai (tranne qualcuno fuori stagione) abbiamo ripreso o stiamo per riprendere le nostre abituali attività, ma non più tardi di ieri, il Vangelo domenicale ci interpella con una parola dai tratti sorprendenti ed ogni volta duri da accogliere. “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26). Sembra quasi che la liturgia voglia prenderci in contropiede e quando potremmo essere tentati di “richiuderci”, dopo tante esperienze, all’interno dei nostri affetti famigliari, ci richiama al primato che Gesù desidera e chiede ad ognuno di noi. Il Salmo 41 è la voce di un uomo, provato dalla malattia e dalla sofferenza, che sperimenta come nella prova – spesso, o forse sempre – solo il Signore resti davvero fino in fondo fedele e solo a Lui, in estremo, possiamo rivolgere una preghiera “a tu per tu”. Ecco, dunque, perché l’amore per Lui viene prima e sostiene ogni altro nostro gesto d’amore: c’è un prima, un riconoscerci amati da Dio che alimenta ogni scelta ed è a monte di ogni nostra relazione e opera di bene. “Beato l’uomo che ha cura del debole: nel giorno della sventura il Signore lo libera. Il Signore veglierà su di lui, lo farà vivere beato sulla terra, non lo abbandonerà in preda ai nemici” (vv 2-3). La traduzione del verso di esordio ci permette di approfondire. Può essere felice l’uomo che sa discernere chi sia il povero e il misero che egli è chiamato a soccorrere ed è quindi un invito che scopriamo molto vicino a quello di Gesù quando descrive il giudizio finale e ci dice che se avremo dato da mangiare, da bere, avremo vestito, accolto, curato o visitato un carcerato lo avremo fatto a Lui (cfr. Mt 25, 34-46). Il giusto non deve temere anche quando è prostrato nella malattia: “Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore; tu lo assisti quando giace ammalato. Io ho detto: Pietà di me, Signore, guariscimi: contro di te ho peccato” (vv. 3-5) Come una moglie o una madre che si accosta al letto del marito o del figlio e gli mette una mano sulla fronte per sentire se ha febbre e poi gli rimbocca le coperte in segno di accudimento, così è il Signore con ciascuno di noi. Ma ci sono momenti in cui, nella sofferenza, ci pare che nessuno riesca ad entrare nella nostra dimensione, ad immedesimarsi davvero: talvolta, quasi, come succede a Giobbe con i suoi amici, ci pare che le loro parole non sortiscano alcun sollievo, anzi, magari involontariamente, ci feriscano ulteriormente perché incrostate di pietismo sterile o di qualche arcano giudizio, come se quel male che patiamo sia in qualche modo responsabilità nostra. Allora anche le persone più vicine possono diventare ostili e dire: “Lo ha colpito una malattia infernale; dal letto dove è steso non potrà più rialzarsi. Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede” (vv. 9-10). Si tratta di un verso molto forte che Gesù conosceva bene e cita nell’ultima cena per indicare il tradimento che Giuda, suo commensale, sta perpetrando contro di lui (cfr. Gv 13,18). Le parole del salmo in bocca a Gesù diventano per noi un viatico in ogni situazione in cui anche la persona più cara sembra venir meno alle nostre aspettative, ed è normale che in questa situazione il nostro cuore si rivolga direttamente a Dio. “Ma tu, Signore, abbi pietà, rialzami […] da questo saprò che tu mi vuoi bene: se non trionfa su di me il mio nemico. Per la mia integrità tu mi sostieni e mi fai stare alla tua presenza per sempre” (vv. 11-13). Ecco, alla fine della preghiera, la speranza del per sempre, quel desiderio insito nel cuore di ciascuno di noi, che quello che di bene riusciamo a sperimentare nella nostra vita, ogni volta che sappiamo donarci e offrire amore a chi ne ha bisogno – questa è integrità – quel bene non vada perduto ma costruisca già qui il Regno e ci lasci intravvedere oltre il crinale di ogni sofferenza, che potremo essere insieme con Dio per una vita che non finirà mai.

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Fonte: Sir