“Quedate en casa”, anche in Argentina. Ma chi pensa ai poveri nelle baracche? I preti di strada
Difficile parlare di precauzioni, restrizioni, isolamento nei quartieri più poveri delle città. Eppure, qualcuno ci sta provando: rispettare il più possibile le indicazioni delle autorità, andando incontro ai più deboli e senza far venire meno i vincoli comunitari creati con un’infaticabile azione in questi anni, mantenendo la pace sociale. Si tratta dei “curas villeros”, i preti di “strada” che prestano servizio nelle villas di Buenos Aires.
“Quedate en casa”. In spagnolo, è lo stesso consiglio che viene dato anche a noi italiani, e a tutto il mondo: “Stai a casa”. Succede anche in Argentina, dove l’intero Paese da circa una settimana è fermo per il coronavirus (attualmente i contagi sono circa 300, con 4 vittime).
È facile dire “stai a casa”. Più difficile a farsi, soprattutto quando la casa e è una baracca, o un ambiente fatiscente e senza regole igieniche.
Quando ci abitano, insieme, genitori, figli, nonni, in pochi metri. È quello che sta accadendo nelle “villas miserias”, nei quartieri poveri della enorme periferia della capitale, Buenos Aires. Ambienti che già prima del coronavirus erano in piena emergenza, dentro una crisi economica sempre più acuta. Come ha denunciato la scorsa settimana la Commissione per i diritti umani e l’inclusione dell’arcidiocesi, spesso sono privi di acqua potabile, o versano in piena emergenza nutrizionale, come ha rilevato l’Osservatorio del disagio sociale dell’Università cattolica argentina, secondo il quale, nell’area metropolitana, il 40% della popolazione vive sotto la soglia della povertà
Far convivere quarantena, solidarietà e pace sociale. Difficile, dunque, in questi quartieri, parlare di precauzioni, restrizioni, isolamento. Eppure, qualcuno ci sta provando: rispettare il più possibile le indicazioni delle autorità, andando incontro ai più deboli e senza far venire meno i vincoli comunitari creati con un’infaticabile azione in questi anni, mantenendo la pace sociale.
Si tratta dei “curas villeros”, i preti di “strada” che prestano servizio nelle villas di Buenos Aires.
Come è noto, fu l’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio a costituire un’organica pastorale per le villas. E a incaricare di questo servizio il cura villero forse più famoso, padre José Maria di Paola, noto come padre Pepe, che presta servizio nella villa La Carcova.
Padre Pepe è consapevole della difficoltà della sfida, ma non si è perso d’animo: “Non è facile, le indicazioni che vengono date dalle autorità, viste da qui, sembrano surreali, non si ha in mente qual è la situazione. Per anni non sono state attuate politiche si carattere preventivo e di promozione umana e sociale.Ora vengono a dire di lavorare da casa, parlano di telelavoro… Ma lo sanno che qui il 90% delle persone vive di changas (occupazioni precarie, ndr), o di lavoro informale, e che ora sono tutti senza lavoro?
O che nelle abitazioni vivono insieme spesso molte persone, dai bambini ai nonni? O che ci sono minori e giovani che, di fatto, vivono in strada? Invece, nel Paese, non si parlano di questi problemi, ma dei connazionali in crociera che sono rimasti bloccati, o della positività di Dybala”. E’ delle ultime ore, peraltro, la decisione del Governo argentino di erogare un contributo straordinario di 10mila pesos a chi ha un lavoro precario.
Un intero piano della casa parrocchiale accoglie gli anziani. Tuttavia, anche in questa situazione non favorevole, “la popolazione sta prendendo coscienza che si tratta di un problema serio, sente quello che sta succedendo in Italia, o negli altri Paesi europei. Noi stessi diamo informazioni e aiuto alla nostra gente”. Così, ecco la sfida prende corpo.
“Per prima cosa – spiega il sacerdote – abbiamo mantenuto le mense, i servizi di consegna di alimenti.
Cerchiamo di fare consegne rapide, di cibo già pronto, usando tutte le precauzioni necessarie”.
In secondo luogo, la parrocchia, a Villa Carcova, ha messo a disposizione un ambiente per gli anziani, le persone maggiormente a rischio di contagio: “Al primo piano della casa parrocchiale abbiamo allestito un ambiente con quattordici camere e abbiamo invitato gli anziani che vivono nella Villa perché passino qui la loro quarantena, isolati. Nelle abitazioni, in mezzo a tutte le altre persone, erano maggiormente in pericolo. Qui sono più protetti”. Un altro ambiente resta attrezzato per i senza dimora: “Qui ci sono persone che dormono in automobile, le situazioni di emarginazione sono tante”. Anche per loro, dunque, è stata pensata una protezione, in un luogo più isolato.
Insomma, il criterio è quello di evitare affollamenti in condizioni igieniche ed economiche precarie. Puntando a creare gruppi comunitari omogenei e isolati.
E poi c’è il problema della scuola, “anche se vedo che da questo punto di vista i maestri si stanno organizzando, mandano ai ragazzi le spiegazioni e le lezioni attraverso whatsapp”. E poi c’è l’aspetto liturgico, la celebrazione della Messa che avviene solo privatamente, come in gran parte del mondo in queste settimane:
“Ci siamo organizzati per trasmettere la Messa con la radio del quartiere e sui social network”.
Ospedali senza terapie intensive. L’altra grande preoccupazione di padre Pepe è la qualità del servizio sanitario: “Il centro medico che è presente qui, è aperto tuti i giorni. Però negli ospedali della periferia il Pronto soccorso è al collasso, la terapia intensiva non c’è.
Questa pandemia arriva in momento nel quale la complessiva situazione sanitaria in Argentina è molto precaria.
Secondo il Governo, il problema principale della sanità, oggi, è garantire la libertà di aborto. Invece, ci sono ospedali inadeguati e sovrappopolati. Si tratta di un problema sul quale richiamare l’attenzione, con forza”