Papa Francesco si è soffermato sulla questione migratoria nel Mediterraneo ridotto a cimitero

Papa Francesco si è soffermato sulla questione migratoria nel Mediterraneo in ogni passaggio del recente viaggio a Cipro e in Grecia (2-6 dicembre). Nell’indifferenza si consuma la stessa identità europea

Papa Francesco si è soffermato sulla questione migratoria nel Mediterraneo ridotto a cimitero

«Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi». Il papa non ha smesso di ricordarlo nell’ultimo suo viaggio apostolico, che dal 2 al 6 dicembre l’ha portato a Cipro e in Grecia, ultima tappa l’Isola di Lesbo, “campo chiuso” alle porte dell’Europa, dove migliaia di profughi stazionano in maniera disumana. Ha continuato a ripeterlo in tutti i discorsi, nel non celato tentativo di farsi ascoltare, anche con frasi forti e simboliche come la seguente: «Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum. Non permettiamo che questo “mare di ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Fermiamo questo naufragio di civiltà».

Il papa si rivolge evidentemente a tutti, cerca di scuotere gli indifferenti dal loro torpore, tenta di scuotere le coscienze, chiama in causa chi decide sulle politiche migratorie, i governanti dei cittadini d’Europa per i quali Benedetto Croce nel 1942 scrisse una frase indelebile: «Non possiamo non dirci cristiani». Presa in questo modo, la frase del papa sul «naufragio di civiltà», rilanciata immediatamente da tutti i mezzi di comunicazione, allarga in maniera completa il concetto di civiltà, chiamando a raccolta laici e cristiani consapevoli della posta in gioco.
È pur vero che il Mediterraneo è un cimitero da oltre vent’anni, tanto da farne l’abitudine. Se non si cede all’indifferenza, è facile dar la colpa al mare infido e profondo, che nella storia ne ha uccisi tanti; oppure ai vecchi barconi, le “carrette del mare”, che si sfasciano prima di arrivare a destinazione; o agli “scafisti”, che non ci pensano su due volte a scaraventare la gente in mare.

Nell’estate di vent’anni fa, quando in tre mesi erano morti nel Mediterraneo più di tremila migranti nel tentativo di raggiungere l’Italia e la Spagna, scrivevo un articolo dal titolo Senza croci e senza nomi per parlare di un’ecatombe di persone che restano senza nome, senza volto, senza provenienza, senza storia, senza ricordo, senza giustizia. Riflettevo sulla difficoltà di mostrare pietà per tutti questi morti per il tarlo di considerarli troppo diversi da noi, con una vita inferiore alla nostra. Ma ricordavo la lezione di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, quando scrisse: «Dimmi, marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un’anima pure tu? È viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d’amore?». E concludeva: «Mio caro fratello, perdonaci».

Di seguito si è subito iniziato a ricordarli cercando di restituire a ciascuno un nome e una storia nella commemorazione “Morire di speranza”, che ogni anno a metà giugno si celebra in tante chiese delle diocesi italiane, per segnare la gravità dei fatti e il riscatto della vita. Poi nel 2007 un documento del governo italiano, la Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione, esprimeva questa presa di coscienza: «La posizione geografica dell’Italia, la tradizione ebraico-cristiana, le istituzioni libere e democratiche che la governano, sono alla base del suo atteggiamento di accoglienza verso altre popolazioni. Immersa nel Mediterraneo, l’Italia è sempre stata crocevia di popoli e culture diverse, e la sua popolazione presenta ancor oggi i segni di questa diversità».

Oggi siamo ai “Corridoi umanitari”, una via sicura e legale per l’ingresso in Italia di persone richiedenti asilo prima che prendano la via del mare. E ci sono giovani sempre più determinati ad agire con competenza nel settore, innumerevoli associazioni che si impegnano. La strada sembra segnata, ma le parole del papa dicono un’urgenza. Un passaggio del suo discorso al Reception and identification center di Mytilene (Grecia), di domenica 5 dicembre, si incunea nel nostro Natale con un significato preciso: «Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. La sua Parola è echeggiata portando l’annuncio di Dio che è Padre di tutti. E si offende se si disprezza l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balìa delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede invece compassione, misericordia, ed esorta all’ospitalità».

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