"Non siate mummie". No alla paura che porta a seppellire il talento
Il cristiano, dice il Papa, non gioca sulla difensiva, non è solo “osservanza delle regole” e “rispetto dei comandamenti”.
Al termine dell’anno liturgico la Chiesa ci ricorda di essere vigilanti e operosi, nell’attesa del Signore, alla fine dei tempi. Il nostro sguardo è già rivolto a Betlemme, per vedere colui che domenica prossima celebreremo come re dell’universo. In Matteo la parabola è collocata all’interno del discorso sulle cose ultime. Paolo nella prima lettura si rivolge agli abitanti di Tessalonica, oggi Salonicco, in Grecia, e li invita alla vigilanza perché “il Signore verrà come un ladro di notte”; ma il cristiano, scrive, non appartiene “alla notte né alle tenebre”. Matteo, nel suo Vangelo, ci porta a riflettere su tre momenti: il padrone che dona ai suoi servi i suoi beni, la sua ricchezza; quindi, la partenza per un viaggio e l’inizio, per i suoi servi, del tempo in cui devono decidere cosa fare; infine, il padrone torna e chiede conto di come hanno impegnato quei talenti. Ecco perché essere vigilanti e operosi.
Già, i talenti. Quante volte abbiamo sentito la parabola dei talenti e magari ci siamo chiesti a quanto poteva equivalere quel compenso riferito ai giorni nostri. Moneta preziosa, una enorme fortuna: circa 30 chilogrammi d’oro con le misure del mondo di oggi, o l’equivalente di sei mila giornate lavorative in epoca romana. Ma non è solo moneta; talento è capacità dei singoli; capacità artistiche, imprenditoriali, culturali, spirituali.
La parabola dei talenti fa fare da sfondo alla Giornata mondiale dei poveri, istituita da papa Francesco quattro anni fa. Messa in basilica vaticana e Angelus in piazza san Pietro. Affacciandosi dalla finestra, prima della preghiera mariana, si sofferma, il Papa, sulla figura del servo “malvagio e pigro” che non fa fruttare i doni ricevuti e “si difende della sua pigrizia, accusando il padrone di essere duro”. Noi pensiamo, a volte, che essere cristiani sia non fare del male. “Ma non fare del bene, non è buono. Noi dobbiamo fare del bene, uscire da noi stessi e guardare coloro che hanno più bisogno. C’è tanta fame, anche nel cuore delle nostre città, e tante volte noi entriamo in quella logica dell’indifferenza: il povero è lì, e guardiamo da un’altra parte. Tendi la tua mano al povero: è Cristo”. Poi Francesco risponde a chi dice che preti e vescovi parlano dei poveri e non della vita eterna: “i poveri – dice – sono al centro del Vangelo; è Gesù che ci ha insegnato a parlare ai poveri, è Gesù che è venuto per i poveri. Tendi la tua mano al povero. Hai ricevuto tante cose, e tu lasci che tuo fratello, tua sorella muoia di fame?”.
Tutti abbiamo ricevuto da Dio un “patrimonio come esseri umani, una ricchezza umana, qualunque sia. E come discepoli di Cristo, abbiamo ricevuto anche la fede, il Vangelo, lo Spirito Santo, i Sacramenti”. Doni che “bisogna utilizzarli per operare il bene in questa vita, come servizio a Dio e ai fratelli”. Perché, “non serve per vivere chi non vive per servire”.
La parabola dei talenti è stata anche al centro dell’omelia che Francesco ha pronunciato in basilica, celebrazione eucaristica alla presenza di un centinaio di poveri, senza fissa dimora e volontari. “Troppe volte – ha detto il Papa – guardando alla nostra vita, vediamo solo quello che ci manca”. Dio ci ha affidato tanto, “si fida di noi, nonostante le nostre fragilità” e ci chiede di “impegnare il tempo presente senza nostalgie per il passato, ma nell’attesa operosa del suo ritorno”. Nella parabola, il centro “è l’opera dei servi, cioè il servizio”, e i servi bravi sono quelli che rischiano. Tanta gente passa la vita “solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere noi doni per gli altri”. Chiede, siamo capaci di guardare a chi è nel bisogno: “la mia mano è così” e Francesco la mostra aperta ai fedeli e poi la ritrae chiusa: “o così”. Per il Vangelo “non c’è fedeltà senza rischio”.
No alla paura che porta a seppellire il talento. Il cristiano, dice il Papa, non gioca sulla difensiva, non è solo “osservanza delle regole” e “rispetto dei comandamenti”. Dice no ai cristiani “misurati” che mai fanno un passo fuori dalle regole “perché hanno paura del rischio”. Si prendono cura di sé stessi, ma così, dice Francesco, incominciano nella vita un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie”.