Myanmar, oltre 130 morti: la denuncia di Amnesty International

Il golpe militare in Myanmar continua a reprimere la protesta con la violenza, mentre i cittadini del paese asiatico non smettono di andare nelle strade per chiedere il riconoscimento delle ultime elezioni che hanno visto trionfare la Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi

Myanmar, oltre 130 morti: la denuncia di Amnesty International

Più di 130 morti e duemila manifestanti: il golpe militare in Myanmar continua a reprimere la protesta con la violenza, mentre i cittadini del paese asiatico non smettono di andare nelle strade per chiedere il riconoscimento delle ultime elezioni, che hanno visto trionfare la Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi. Le ultime denunce arrivano da Amnesty International , che in un nuovo studio ha visionato 55 filmati. Risultato: è in atto un uso crescente della forza e “molte delle uccisioni documentate equivalgono a esecuzioni extragiudiziali”.

I battaglioni più pericolosi sono stati schierati dall’esercito sin dall’inizio delle proteste. Tra questi, anche la 33esima fanteria leggera, già impiegata contro la minoranza Rohingya nel 2017. Secondo Joanne Mariner, direttore della Crisis Response dell’organizzazione per i diritti umani,“queste tattiche militari sono tutt'altro che nuove, ma le loro follie omicide non sono mai state viste in diretta dal mondo”.
L’armamento utilizzato è un altro elemento di allarme in questa situazione esplosiva. Amnesty denuncia che l’esercito birmano, il potente Tatmadaw, sta contrastando le proteste usando persino armi da guerra, tra cui i fucili MA-S e Uzi e le mitragliatrici Rpd. Dettagli non trascurabili, visto che il diritto internazionale non permette l’uso di armi da fuoco in questi contesti, se non in alcuni casi estremamente circoscritti. “L'armamento utilizzato dall'esercito rivela una deliberata e pericolosa escalation nella tattica”, ha dichiarato ancora Mariner.
Le immagini analizzate dall’organizzazione in alcuni casi non danno adito a molte interpretazioni. Come un video del 3 marzo, filmato in una zona di Yangon, in cui degli agenti portano un uomo verso un altro gruppo di forze di sicurezza quando, a un certo punto, un ufficiale gli spara e l’uomo cade a terra e vi rimane finché alcuni agenti lo portano via. Oppure c’è un video del giorno prima, in cui un cecchino spara obbedendo all’ordine di un comandante, che gli indica determinati manifestanti. E un altro ancora, in cui un militare presta il fucile a un agente di polizia. “Questa clip non solo mostra uno spericolato disprezzo per la vita umana, ma rivela anche un coordinamento deliberato tra le forze di sicurezza”, dice Mariner.
L’Onu ha condannato la risposta violenta alle manifestazioni, ma non ha imposto sanzioni reali verso i militari birmani per l’opposizione di Russia, Cina, India e Vietnam.

L’articolo integrale di Fabio Polese (da Hua Hin, Thailandia), Myanmar, esecuzioni extragiudiziali nelle proteste contro il colpo di stato, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)