Libri, un padre disperato e un figlio autistico i protagonisti di “Fame d’aria” di Daniele Mencarelli

Dopo il successo della trilogia autobiografica e della serie tv tratta dal suo romanzo “Tutto chiede salvezza”, lo scrittore romano torna in libreria con una storia (quasi) senza speranza

Libri, un padre disperato e un figlio autistico i protagonisti di “Fame d’aria” di Daniele Mencarelli

Pietro è un uomo prosciugato, che non ha più energie per abitare il presente perché dinanzi a sé non vede futuro. È uno che le ristrettezze economiche hanno reso un esperto di sopravvivenza in grado di escogitare le soluzioni più ingegnose per risparmiare pochi euro, in parole più semplici è un povero. È un padre di un figlio 18enne, autistico, a basso funzionamento, anzi a zero funzionamento, “che non parla, non sa fare nulla, si piscia e si caca addosso”. La disperazione di quest’uomo che, nel corso di pochi lustri, ha attraversato le imprevedibili stagioni di una paternità ammaccata dal dolore, da una speranza continuamente delusa, dall’odio nei confronti di sani e malati e, infine, dalla rabbia è al centro “Fame d’aria” (Mondadori, pagg. 172, euro 19), l’ultimo romanzo del poeta e scrittore romano Daniele Mencarelli da poche settimane in libreria.

Il volume arriva dopo un’ideale trilogia autobiografica composta da “La casa degli sguardi” (Mondadori 2018), “Tutto chiede salvezza” (Mondadori 2020 poi divenuto una serie tv disponibile su Netflix dallo scorso autunno) e “Con Sempre tornare” (Mondadori 2021). E anche questa volta si tratta di un corpo a corpo con le questioni più intime, dolorose, difficili che riguardano un essere umano. Perché nella vicenda di Pietro e di suo figlio Iacopo non c’è nulla di consolatorio. Di fronte alla disperazione di un uomo tormentato dai debiti che, pur avendo un lavoro, fatica ad arrivare alla fine del mese, le meravigliose dichiarazioni della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità non trovano eco. Come non trovano eco né spazio le teorie d’avanguardia degli attivisti autistici sulla neurodiversità come naturale variabile dello sviluppo umano. Pietro non ama parlare di suo figlio, ripercorrere il rosario dei come, cosa e perché, inevitabile sbocco di tutte le conversazioni. Non ha rivendicazioni ma solo solo rassegnazione, dietro di lui e la sua famiglia, composta anche dalla moglie Bianca si intuisce, a ogni battuta, solitudine, difficoltà, abbandono.

Costretti a interrompere un viaggio per un guasto dell’automobile, Pietro e Iacopo si trovano intrappolati per alcuni giorni in un comune dell’Alto Molise, dove il tempo sembra essersi fermato. La loro presenza nel paese non può fare a meno di suscitare la curiosità degli abitanti del posto che cercano di decifrare il mistero di Iacopo e di quell’autismo a basso funzionamento di cui non hanno mai sentito parlare prima. Cercano però anche di aiutarli, di facilitargli la permanenza. Ma Pietro teme la compassione degli altri più di ogni altra cosa e, per quanto può, cerca di tenersi lontano dalle loro premure. Eppure, se esiste una possibilità di salvezza per Pietro, è proprio in quella pietà spontanea, nell’attenzione curiosa ma sincera di una comunità all’interno della quale le singole persone contano più dei servizi sociali e sanitari, delle associazioni, delle battaglie civili. “Appartengo alla categoria degli scrittori sentinelle – ha spiegato l’autore –. Scrivo di persone, vite, che mi chiedono di essere testimoniate, senza avermelo mai chiesto, almeno a parole. Scrivo da sentinella per vegliare il presente. Per vegliare i viventi. Scrivo di cose visibili e invisibili”.

Antonella Patete

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)