La pax turca sulla pelle dei curdi

L’ennesimo sacrificio curdo sull’altare di “interessi superiori” mostra soprattutto l’accelerazione verso obiettivi profittevoli sfruttando défaillance e necessità altrui e incassando compensi trasversali.

La pax turca sulla pelle dei curdi

Come previsto, la Turchia riscuote i suoi crediti. Il 20 novembre Ankara ha avviato l’operazione Artiglio-Spada con una pioggia di bombe sul Kurdistan siriano e iracheno. Dalle informazioni sul campo risultano colpiti anche obiettivi civili, un ospedale pediatrico e diverse centrali elettriche. L’iniziativa non ha scadenza e le parole di Erdogan alludono all’iniziativa di terra che la Turchia annuncia da mesi. La rappresaglia all’attentato di Istanbul del 13 novembre, attribuito con non poche ombre e incongruenze al Pkk, non ha destato particolari reazioni. Gli Usa, nonostante il sostegno ai curdi del Ypg (anch’essi bersagliati), hanno affermato il diritto turco di difendersi dalla minaccia terroristica. Mosca, pur dedita a proteggere il governo di Assad dalle mire di Ankara, ha consentito ai bombardieri turchi di sorvolare lo spazio aereo siriano. L’Iran condanna la violazione del diritto internazionale ma ne approfitta per colpire le postazioni curde del Kdpi, accusato di sobillare le proteste a Teheran.

L’iniziativa può essere letta in vista delle elezioni di giugno: per rilanciare il consenso, a fronte dei sondaggi che danno per improbabile il terzo mandato di Erdogan, laddove le opposizioni sostenessero compatte Yavaş, sindaco di Ankara, mietendo sui malumori per la disoccupazione al 10% e l’inflazione annua all’85% che erode risparmi e potere d’acquisto.

Ma l’ennesimo sacrificio curdo sull’altare di “interessi superiori” mostra soprattutto l’accelerazione verso obiettivi profittevoli sfruttando défaillance e necessità altrui e incassando compensi trasversali. A cominciare dalle afferenze della guerra in Ucraina: le armi a Kiev, il verde a Svezia e Finlandia nella Nato, il corridoio del grano, le staffette tra Washington e Mosca.

Non è un mistero il disegno di smilitarizzare il Kurdistan siriano facendone un area-cuscinetto. E non solo per ragioni securitarie. La regione sarebbe un buon serbatoio ove stipare i profughi che continuano a riversarsi (non senza proteste interne) in territorio turco, permettendo di gestire da remoto il rubinetto dei flussi migratori per cui Ankara riceve lauti compensi dall’Ue. Inoltre la liquidazione della questione curda lancerebbe la “pax turca” come dispositivo stabilizzatore in Medioriente, a garanzia degli interessi convergenti di amici e rivali. Così, mentre salda le relazioni con Israele e incassa un credito di 5 mld di dollari dall’Arabia Saudita, Erdogan commercia in droni con gli Emirati e, al vertice di Astana, conviene con Putin e Raisi sulla legittimità del governo di Damasco.

La proiezione mediorientale giova inoltre alla piattaforma gasduttrice in cui la Turchia, su proposta di Putin, potrebbe trasformarsi: uno snodo verso l’Europa del gas russo (da rivendere sotto altra etichetta), azero, iraniano, qatariota e del consorzio israelo-libanese. Il tutto a corollario energetico della Dottrina della Patria Blu che delinea le ambizioni turche nel Mediterraneo, in vista delle quali oggi si distendono i rapporti con l’Egitto di al-Sisi. E mentre si ringhia contro la Grecia per Cipro e le isole egee, si dialoga con la Francia (galeotto il possibile acquisto dei missili Samp/T) per la spartizione della Libia – sperando che Parigi declassi l’assistenza militare siglata lo scorso anno con Atene anche in caso di attacco da un membro Nato.

Gli Usa restano impensieriti dall’attivismo poco “satellitare” di Erdogan (si rammenti il gelo diplomatico a seguito del golpe sventato nel 2016). Ma al contempo calcolano l’utilità di un freno anti-russo in Africa e nel Medioriente. Sul laissez faire che la Casa Bianca riserva ad Ankara pesa soprattutto l’esigenza di atlantizzare tutto il Mar Nero, contando sullo sbarramento turco all’accesso della flotta russa al Mediterraneo, dal quale Washington spera di potersi disimpegnare. Il massimo sarebbe lasciarvi a guardia degli interessi a stelle e strisce un alleato più mansueto della Turchia ma, in assenza di alternative, l’acquiescenza è inevitabile.  D’altra parte, difficile condannare l’attacco ai curdi, dal momento che il governo turco può invocare i precedenti a stelle e strisce che, a onta della proporzionalità di cui all’art. 51 della Carta Onu, hanno tradotto la lotta al terrorismo in operazioni di guerra preventiva.

Negli stessi giorni, importando a scoppio ritardato la categoria di “stato canaglia”, il Parlamento Ue ha pensato bene di dichiarare la Russia uno sponsor del terrorismo. Dunque l’Europa si taglia fuori da ogni residuo ruolo di mediazione. E mentre c’è chi sui media continua distinguere neonazisti buoni e cattivi, l’Ue ora si ricorda della Wagner, dimentica le prodezze dei paramilitari di cui si avvalgono gli interessi occidentali nel mondo e oblitera le indagini di Strasburgo sui legami di Turchia e Qatar con i gruppi jihadisti. Forse, in concomitanza dei mondiali di calcio, il clamore sugli spalti ha coperto il fragore delle bombe sui curdi, cogliendoci di nuovo selettivamente benpensanti e distratti sui nostri divani. Attenzione: goal!

Giuseppe Casale*

*Pontificia università lateranense

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Fonte: Sir