La pace senza nucleare. "Passi di pace": un “cammino disarmante” nel mese di gennaio per sette diocesi del Triveneto
Riscoprire La Pira per dare una nuova speranza al dialogo per la pace. A 43 anni dalla scomparsa di quello che per molti rimane il "sindaco santo" di Firenze, il suo insegnamento non ha perso una virgola della sua lungimirante lucidità e si offre oggi come un esempio di buona politica.
Lo è soprattutto, come spiega Lisa Clark — referente per il disarmo nucleare della Rete italiana pace e disarmo, protagonista della Campagna per la messa al bando delle armi nucleari (Ican) — di fronte alla necessità che le comunità umane riprendano a ordire la trama di un dialogo che metta al centro la pace e il disarmo atomico.
Un dialogo che il prossimo 17 gennaio farà tappa anche a Padova, complice la tavola rotonda organizzata dalla Diocesi nell'ambito del calendario interdiocesano per la pace "Passi di pace" e che vedrà fra i relatori, oltre alla già citata Lisa Clark, Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo, Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova, e padre Mario Menin, direttore di Missione Oggi.
«Sappiamo — spiega Clark — che le bombe atomiche sono state progettate con l’obiettivo di distruggere le città: la distruzione di Hiroshima e Nagasaki non è stato un effetto collaterale ma un atto deliberato e per questo quelle armi vanno messe al bando, come ci dice papa Francesco da tanto tempo».
Per farlo il ruolo delle comunità è determinante. «Dalla notizia della distruzione delle due città — continua la referente di Ican — Giorgio La Pira aveva elaborato dentro di sé l’idea che le città non possano morire, nessuno può arrogarsi il diritto di uccidere una città. La Pira diceva anche che “gli stati vanno e vengono ma le città restano”, sono la memoria storica di un territorio e della popolazione che l’ha abitato. Basti pensare all’Italia: da 150 anni abbiamo uno stato ma prima quanti ce ne sono stati? La vita reale della città, della comunità umana profonda, è rimasta la stessa ed è nostra responsabilità preservarla per le generazioni future».
Un invito ad amare la casa comune che riecheggia, decenni dopo, nel grande appello per la pace espresso da papa Francesco dalla città martire di Hiroshima: «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine — esordì il pontefice — non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra».
Una diplomazia delle città con al centro il bene e la cura della Casa comune sono alla base della politica di Giorgio La Pira da sindaco di Firenze, sia in ambito internazionale che nell'approntare la politica della città. Da qui bisogna ripartire e da qui è partita la campagna di "Mayors for peace" (sindaci per la pace) che, idealmente — e forse inconsapevolmente — ha fatto propria l'idea che La Pira ebbe nel 1955 di far dialogare i sindaci delle capitali del mondo.
«Alla marcia che abbiamo fatto a Oslo quando è stato assegnato il premio Nobel a Ican nel 2017 — ricorda Lisa Clark — accanto a me c’erano il sindaco di Hiroshima e due sindaci italiani. La motivazione del Nobel per la pace è per noi importantissima perché in Ican il Comitato ha premiato l'aver aver ripreso in mano il tema del disarmo che molti non vogliono affrontare, per aver affrontato gli obiettivi di disarmo dell’Onu e per aver rispettato la “democraticità” dell’iniziativa, richiamando quella che in origine sarebbe stata la struttura delle Nazioni Unite che in seguito è stata dirottata sul Consiglio di sicurezza. Aver ridato voce alla maggioranza dei Paesi è stato determinante».
Una maggioranza troppe volte silenziosa o ridotta al silenzio da un monopolio della forza che ricade in capo ad una minoranza armata e alle nazioni che si riconoscono nelle alleanze protette dal cosiddetto ombrello atomico.
«La cosa importante – continua Clark — è diffondere l’idea, la cultura che è possibile fare qualcosa. Non dobbiamo rassegnarci alla situazione com’è adesso. Papa Francesco ci dice che non solo l’uso, la minaccia dell’atomica è un crimine ma addirittura gestire le relazioni internazionali con la deterrenza crea un’atmosfera di paura e di mancanza di dialogo internazionale che è a sua volta un peccato. Il ruolo della Chiesa in questa iniziativa è determinante anche fra i non cattolici perché le viene riconosciuta un’autorevolezza mondiale e anche la Chiesa anglicana ha fatto propria la stessa posizione al punto di scrivere al governo Johnson per patrocinarne l’adesione al trattato».
Il riferimento è al Trattato per la messa al bando delle armi atomiche, in vigore dal 22 gennaio, che vede tra i suoi firmatari 51 Paesi, nessuno dei quali è però in possesso della bomba. Una condizione questa che sembra non spaventare Ican ma che lascia comunque perplessi i meno informati: la diplomazia internazionale segue strade spesso impraticabili ai non addetti ai lavori, con il rischio troppe volte divenuto realtà che nelle maglie di un accordo si celi la possibilità per aggirarlo.
È il caso, ad esempio, del Trattato di non proliferazione fatto proprio dall'Italia nel 1975 che, pur avendo di fatto messo una pietra sopra alle velleità nazionali di costruire e possedere un'atomica tricolore, non ha però vietato alle basi Nato preseti sul territorio nazionale di poterne disporre purché schierate prima dell'entrata in vigore del Trattato. Si tratterebbe, stimano gli attivisti per il disarmo, di alcune decine di testate: poche in confronto al totale degli arsenali di Russia e Stati Uniti che insieme superano le 15 mila unità, ma comunque sufficienti per collocare l'Italia in una posizione ambigua in materia.
«Dal 22 gennaio — conclude Lisa Clark — tutti gli stati che posseggono armi nucleari diventano in un certo senso “stati canaglia” perché la maggior parte degli stati vedrà nella bomba qualcosa di illegale. Prima o poi i Paesi che ratificheranno il trattato saranno più di 100 e questo avrà delle conseguenze. Ad esempio gli stati africani dove si trovano le miniere di uranio, quando aderiranno a questo trattato non avranno più la possibilità legale di vendere l’uranio alle potenze nucleari. Quello che come italiani possiamo concretamente fare è dare degna accoglienza al trattato e continuare a spingere il Governo ad aprire un dialogo per capire in che modo continuare il percorso verso il disar hgmo. Abbiamo molte idee ma, finora, nessuno dei quattro governi a cui abbiamo scritto ci ha dato risposta». A maggior ragione, quindi, l'attenzione va posta alla base della politica, nelle città e nelle comunità umane.
22 gennaio, data caposaldo
Il prossimo 22 gennaio entrerà in vigore il Trattato per l'eliminazione delle armi nucleari approvato a ottobre all'Onu e sottoscritto da 51 Paesi: Da qui l'iniziativa "Passi di pace" che si potrà seguire nella pagina Facebook dedicata all'evento.
A Padova il terzo passo di pace: conoscere
"Conoscere", è questo il passo che la Diocesi di Padova compirà ospitando la tavola rotonda "Miriamo alla pace" del 17 gennaio alle 18.30. Al centro del dibattito la terza guerra mondiale "a pezzi" teorizzata da papa Francesco.
Passi di pace
Un "cammino disarmante", chiaro fin dal titolo, quello organizzato da sette Diocesi del Triveneto (Padova, Belluno-Feltre, Treviso, Trento, Vittorio Veneto, Vicenza e Concordia-Pordenone) nel mese di gennaio a cominciare dal primo giorno dell'anno fino al 27. Il 9 gennaio alle 20, la Diocesi di Vittorio Veneto offre la veglia di preghiera "Armati di pace". Il 20 e il 27 alle 20.30, la Diocesi di Treviso offre due approfondimenti con il giornalista di Avvenire Nello Scavo e con padre Michel Abboud e mons. Paolo Bizzeti.