La lotta alle disuguaglianze dovrebbe essere un grande tema politico
In coerenza con il dettato costituzionale che nell’art.3 affida solennemente alla Repubblica il “compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”
I dati sull’economia italiana presentano un quadro pieno di contraddizioni, la più vistosa delle quali è la sfasatura tra l’andamento del Prodotto interno lordo e quello dell’occupazione. Il Pil è praticamente fermo o registra incrementi minimi (anzi le ultime rilevazioni sulla produzione industriale segnalano un netto calo in tutti i comparti), mentre il numero degli occupati macina record su record, con una crescita costante dei contratti a tempo indeterminato. Il dubbio che si tratti di un disallineamento dei dati dovuto al fatto che l’andamento complessivo dell’economia non si ripercuote immediatamente – né in positivo, né in negativo – sulla dinamica occupazionale, è reale e già segnalato dagli analisti che hanno colto due campanelli d’allarme. A novembre si è registrato un aumento degli occupati a tempo determinato. Niente di clamoroso (+15 mila rispetto al mese precedente) ma è la prima volta dallo scorso agosto che accade. Ed è la prima volta da agosto 2022 che aumentano gli inattivi (+48 mila), cioè coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano. Due dati che per ora non alterano il quadro positivo su base annuale, ma che potrebbero rappresentare un indizio degli effetti della frenata dell’economia sull’andamento del mercato del lavoro. Un’ipotesi da verificare con le prossime rilevazioni.
Al netto dei problemi di natura statistica, il timore è che questa e altre contraddizioni debbano essere ricondotte a un quadro sociale sempre più polarizzato tra chi ha (beni materiali ma anche competenze e opportunità formative adeguate) e chi non ha (risorse economiche ma anche professionali) e resta inchiodato a un lavoro di bassa qualità e retribuzione. Basti pensare come il 6,6% dei dipendenti del settore privato abbia una retribuzione inferiore agli 8 euro l’ora. E che, complice l’inflazione, la pur lenta ripresa dei consumi si sia rivelata sostanzialmente un’illusione ottica, in quanto si spende di più per mangiare di meno, come ha sintetizzato la Coldiretti, stimando un taglio del 3,9% sull’acquisto di cibi e bevande a fronte di una maggiore spesa di 9 miliardi. Il che rende assai difficile pensare che la situazione sia migliorata rispetto quella tracciata da Eurostat per il 2022 (i dati sono stati diffusi nello scorso ottobre), quando il 63% delle famiglie italiane faticava ad arrivare alla fine del mese. Nelle regioni meridionali il quadro è ancora più preoccupante, con Campania e Calabria sono tra le quattro regioni europee con una quota più alta di persone a rischio povertà ed esclusione sociale. Poi, come sempre, c’è anche chi sta molto bene: il 5% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza, comunica la Banca d’Italia.
La lotta alle disuguaglianze dovrebbe essere un grande tema politico, in coerenza con il dettato costituzionale che nell’art.3 affida solennemente alla Repubblica il “compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”. Ma i lunghi mesi di campagna elettorale che ci attendono e in cui siamo di fatto già immersi sembrano avere tutt’altro orizzonte. Gli stessi interventi in materia istituzionale che sono in cantiere, dal premierato all’autonomia differenziata, rischiano di essere ulteriormente divisivi a causa di una carica ideologica che sopravanza la realistica valutazione dei problemi da risolvere.