Famiglia, Chiesa domestica. Definendo la famiglia come Chiesa domestica i padri conciliari spalancano potenzialità ancora non espresse
La santità è la meta a cui tutti i cristiani sono universalmente chiamati e gli sposati, non certo nonostante il matrimonio, ma proprio attraverso di esso, hanno indicata la via per la loro santificazione.
E infine i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. Da questa missione, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale.
Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n. 11, 21 novembre 1964
L’11 ottobre 1962 (come abbiamo visto settimana scorsa) si aprì il Concilio Vaticano II: un evento di portata epocale non solo per la Chiesa Cattolica. Vi furono circa 2450 partecipanti fra cui, come osservatori, esponenti delle altre confessioni cristiane. Il lavoro si distribuì in quattro sessioni, la prima fino alla morte di Giovanni XXIII il 3 giugno del 1963, le altre tre convocate e presiedute dal suo successore Paolo VI, fino alla chiusura avvenuta l’8 dicembre 1965. L’intenso lavoro dei padri conciliari produsse una fondamentale mole di documenti suddivisi in quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Dopo la Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium sulla sacra liturgia, emanata il 4 dicembre 1963, in ordine di tempo viene resa pubblica, l’anno successivo, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa: la Lumen Gentium.
È, quindi, in seno al discorso sul mistero della Chiesa e, più precisamente sul sacerdozio comune esercitato nei sacramenti dal popolo di Dio che troviamo il passo sopra trascritto. Il riferimento alla Lettera agli Efesini non è inedito per indicare che il matrimonio significa l’unità e il mistero d’amore fra Cristo e la Chiesa, ma nuova è la sollecitudine con cui da questo assunto sacramentale si dichiara che i coniugi sono chiamati ad aiutarsi a vicenda per raggiungere la santità nella loro vita di sposi. La santità è la meta a cui tutti i cristiani sono universalmente chiamati e gli sposati, non certo nonostante il matrimonio, ma proprio attraverso di esso, hanno indicata la via per la loro santificazione. Dalla missione degli sposi procede la famiglia, nella quale nascono “i nuovi cittadini della società umana”. Prima ancora di essere battezzati, i figli sono creature nel mondo e già in questo un dono incommensurabile. Col sacramento del Battesimo divengono figli di Dio e vanno a perpetuare il suo popolo.
Ed ecco la definizione: Chiesa domestica. Una svolta linguistica che è anche concettuale. Definendo la famiglia come Chiesa domestica i padri conciliari aprono, anzi spalancano una serie di potenzialità ancora oggi non del tutto espresse. Una chiesa domestica è un luogo in cui si possono vivere i sacramenti del battesimo e del matrimonio, in particolare – come dice la Costituzione – assecondando la vocazione di ciascuno. Ma oltre a ciò la famiglia si costituisce come un luogo di preghiera privilegiato. Un luogo in cui, secondo la parola evangelica, quando due o tre si radunano nel Suo nome, il Signore è lì in mezzo a loro (Mt 18, 19-20). Lo abbiamo sperimentato nei mesi di lockdown, in cui le famiglie sono state cellule vive e pulsanti di energia, nonostante le restrizioni sociali. Anche grazie a mezzi di comunicazione che all’epoca del Concilio non erano ancora contemplati, le famiglie si sono potute mettere in rete fra loro e in collegamento con la parrocchia. Se il sacramento dell’Eucarestia non si è potuto vivere pienamente ricevendo la comunione nella specie del pane, ugualmente molti nuclei famigliari hanno potuto collegarsi per vivere a distanza le celebrazioni eucaristiche e i momenti di preghiera.
Uno spazio suo proprio ha avuto la preghiera del Rosario che ben si adatta alla dimensione famigliare, con la possibilità di distribuire le decine di Ave Maria fra i diversi componenti della famiglia, spaziando fra un infinito numero di intenzioni. Ma la Chiesa domestica della famiglia è anche luogo di carità e di prossimità nei confronti dei fratelli e non necessariamente di quelli con cui si condivide la fede. Una luce che risplende per tanti anche oltre le mura della casa. Un segno di gratuità, un generatore di energie positive che già nel suo vivere in comunione trasmette un messaggio di speranza. Si pensi a quanto una famiglia può fare per i tanti anziani che vivono soli, o alla solidarietà che si può trasmettere verso quei nuclei famigliari ai loro inizi con figli neonati o molto piccoli. Da adesso la famiglia con “chiesa domestica” ha la sua definizione principe e si installa come cellula vitale contemporaneamente della società e della comunità ecclesiale.