Diritti umani: rapporto Amnesty, “l’attivismo delle donne nel mondo. In Italia gestione repressiva del fenomeno migratorio”
In Europa - secondo il rapporto Amnesty 2018 - l’anno è stato caratterizzato “dall’aumento dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile”. Richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati “respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati”.
È “lo straordinario risorgimento dell’attivismo delle donne” contro l’azione di leader che si definiscono “duri” e promuovono politiche misogine, xenofobe e omofobe la grande novità sul fronte delle battaglie per i diritti umani in tutto il mondo. Lo evidenzia il rapporto di Amnesty international “Rights Today” (pubblicato in Italia col titolo “La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019”, Infinito Edizioni), presentato oggi a Roma e in tutto il mondo, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il focus sull’Europa e l’Italia evidenzia una pericolosa retrocessione sui diritti dei rifugiati e migranti per effetto del Decreto sicurezza e a causa della criminalizzazione delle Ong che salvavano vite umane in mare.
L’attivismo delle donne contro “leader repressori”. “È l’attivismo delle donne ad aver offerto quest’anno la più potente visione di come contrastare questi leader repressori”, ha affermato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International. Gruppi come “Ni una menos” in America Latina e #MeToo in Usa, Europa e in parti dell’Asia hanno dato vita a movimenti di massa mai visti in passato. In India e Sudafrica migliaia di donne sono scese in strada per protestare contro l’endemica violenza sessuale. Il divario salariale di genere nel mondo è del 23%. Le donne possiedono solo il 12,8% dei terreni agricoli. 104 Paesi hanno leggi che impediscono a oltre 2,7 milioni di donne di svolgere certe professioni. Quasi il 60% delle donne lavoratrici nel mondo (pari a circa 750 milioni di donne) non beneficia del diritto al congedo di maternità. Solo il 17% di tutti i capi di Stato o di governo e il 23% dei parlamentari nel mondo sono donne. “Se vivessimo in un mondo in cui fossero gli uomini a subire questo genere di persecuzione – si chiede Naidoo -, questa ingiustizia verrebbe lasciata correre?”.
In Africa. Nonostante alcuni progressi, molti governi dell’Africa subsahariana hanno continuato a reprimere brutalmente il dissenso. Dal Niger alla Sierra Leone, dall’Uganda allo Zambia i governi hanno fatto ricorso a tattiche repressive per ridurre al silenzio difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti e dissidenti. Segnali di speranza, anche a seguito di cambi di leadership, si intravedono in Angola ed Etiopia.
Medio Oriente e Africa del Nord. Il contesto è segnato da perduranti conflitti (Yemen, Siria, Libia), nei quali la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto.
Qui l’attivismo delle donne ha segnato vittorie in Arabia Saudita, con la fine del divieto di guida,
la resistenza contro l’obbligo d’indossare il velo in Iran, il movimento di protesta “Hirak” in Marocco, il coraggio della denuncia della corruzione e della violenza in Libia. L’esercito israeliano ha causato un elevato numero di vittime civili palestinesi come non si vedeva da anni. Gli spazi per l’espressione pacifica delle opinioni si sono ulteriormente ristretti in Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran.
Nelle Americhe. In Colombia, in media ogni tre giorni viene ucciso un attivista. Preoccupa l’ascesa di leader “che hanno fatto sfoggio di una retorica ostile ai diritti umani”, come il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Le crisi dei diritti umani in Venezuela e in America centrale hanno costretto “un numero senza precedenti di persone” a lasciare i loro Paesi in cerca di salvezza.
Gli Usa hanno separato e imprigionato nuclei familiari e ristretto il diritto d’asilo.
In Asia. Uno dei peggiori sviluppi è stata la detenzione di massa, da parte delle autorità della Cina, di un milione di uiguri, kazachi e altre minoranze musulmane nella Regione autonoma dello Xinjiang uiguro. Possibile effetti positivi per i diritti umani possono derivare dagli importanti colloqui tra le due Coree. In Asia meridionale i governi hanno continuato a minacciare, intimidire e processare difensori dei diritti umani. In Bangladesh e Pakistan le autorità hanno fatto ricorso a leggi drastiche per colpire la libertà d’espressione. In India, il governo ha cercato di demonizzare e perseguitare i gruppi della società civile e gli attivisti. In Asia sudorientale la situazione è peggiorata in molti Paesi. La violenta campagna di uccisioni, stupri e incendi condotta dalle forze armate di Myanmar ha costretto oltre 720.000 Rohingya a lasciare lo Stato di Rakhine e a trovare riparo in Bangladesh. In Cambogia è aumentata l’intolleranza verso le opposizioni politiche e i media indipendenti. Nelle Filippine altre vite umane, soprattutto di persone povere, sono state perse nell’ambito della “guerra alla droga” condotta dal governo del presidente Duterte.
In Europa. L’anno è stato caratterizzato “dall’aumento dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile”. Richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati “respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati”.
A guidare questa tendenza Ungheria, Polonia e Russia.
In Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri di vite nei confronti della libertà d’espressione e in Turchia continua ad espandersi un clima di paura. A fronte di tutto ciò sono cresciuti attivismo e proteste.
In Italia. Il nuovo governo, si legge nel rapporto di Amnesty, “si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio.
Le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo”. Il decreto sicurezza e immigrazione, secondo l’organizzazione, vìola “gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avrà l’effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia, esponendole ad abusi e sfruttamento”. Amnesty ricorda che il provvedimento è stato “fortemente criticato in novembre da 10 relatori speciali delle Nazioni Unite”, dalla società civile, dai Comuni e da molte realtà coinvolte nella tutela dei diritti umani e dei migranti. Amnesty ha anche documentato “il massiccio ricorso da parte di alcuni candidati e partiti politici a stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo per veicolare sentimenti populisti, identitari”. Anche i relatori speciali delle Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione in merito a questa retorica che “incita all’odio e alla discriminazione” nei confronti delle minoranze e dei migranti. Amnesty punta il dito contro gli “sgomberi forzati e discriminazione dei rom nell’accesso a un alloggio adeguato”, la “fornitura di armi a Paesi in guerra come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, attivi nel conflitto in Yemen” e i rischi legati alla sperimentazione delle pistole a impulsi elettrici (Taser) in dotazione alle forze di polizia. In seguito ad alcune tristi vicende, tra cui quella di Stefano Cucchi, Amnesty ha lanciato di una campagna per l’introduzione dei codici identificativi per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico.