Csv Padova & Rovigo. Capire le guerre, aprendo le porte a chi fugge

Una risposta pacifista Il volontariato risponde ai conflitti in corso o con aiuti nelle zone di guerra o accogliendo. Il contatto stretto è la consapevolezza dei diritti che mancano

Csv Padova & Rovigo. Capire le guerre, aprendo le porte a chi fugge

Il “no” alla guerra è uno dei fondamenti dell’agire del volontariato che per questo persegue l’educazione alla pace attraverso la cura e l’accoglienza, contro i pregiudizi e mettendosi in gioco come persone e come cittadini. Sono molte, nel nostro territorio, le associazioni che danno corpo a un’immensa catena di azioni pacifiste che si traducono in aiuti concreti sia qui in Italia che nei Paesi coinvolti nei conflitti. Affrontare le conseguenze della guerra, salvare vite e curare, ma anche raccontare e denunciare è una delle missioni di Medici senza frontiere e ben lo testimonia la dott.ssa Elda Baggio, chirurga, operatrice umanitaria e vicepresidente di Msf Italia: «Con Msf Italia collaboro dal 2011. Ero in Burundi con un progetto tra università nel 2001, dopo la guerra etnica tra Utu e Tutsi e mi sono resa conto che pur essendo di aiuto in Africa, per curare c’era un problema di formazione. Così con Gianfranco De Maio, allora vicepresidente di Msf Italia, abbiamo deciso di preparare coloro che andavano in missione e avevano competenze chirurgiche allargate, perché le specialità in quel contesto non aiutano, e abbiamo fondato il Master di Chirurgia tropicale delle emergenze umanitarie in partnership tra Università di Verona e Medici senza frontiere. Oltre che in Burundi, per Msf ho lavorato in Siria, Haiti, Congo, Somalia, Palestina, Iraq». Potente la visione della dottoressa: «La mia partecipazione a Msf è nata dalla necessità quando ho realizzato che dovevo formare me stessa e quindi, cogliendo l’occasione, ho lavorato anche a una formazione strutturata per altri. Lavorare in un contesto di guerra significa saper gestire qualsiasi urgenza, inoltre è necessario invertire la formazione che abbiamo avuto: questa prevede che si tratti prima il paziente più grave, invece in un contesto belligerante con risorse limitate, devo trattare chi occupa meno risorse e minor quantità del mio tempo con una maggior possibilità di sopravvivere. Il criterio con cui io decido tiene conto anche delle risorse che ho a disposizione e questo cambia molto il modo di ragionare. La situazione più grave però è data dall’impotenza di trovarsi in una situazione in cui non puoi essere un medico come accade oggi a Gaza». A Padova e provincia il gruppo di volontari di Medici senza frontiere è attivo dal 2003 e coinvolge un numero crescente di persone di diverse età, formazione e professione unite dal desiderio di contribuire alla sensibilizzazione della società civile sul diritto alla salute e sull’azione medico umanitaria in favore delle popolazioni in difficoltà. La costante delle loro iniziative – che siano conferenze, documentari, eventi di raccolta fondi o “passeggiate solidali” – è la testimonianza diretta degli operatori e operatrici umanitari.

Raccontare e accogliere è la cifra di Refugees welcome Italia, un network presente in 29 città italiane, che promuove l’inclusione sociale di persone rifugiate e migranti e affronta il tema dell’accoglienza a partire da quella in famiglia: «Significa mettersi in gioco e accogliere una persona rifugiata o richiedente asilo a casa per almeno sei mesi – spiega Luca Lendaro, coordinatore padovano di Refugees welcome Italia – Così non solo si fornisce un supporto concreto al processo di integrazione, ma soprattutto si offre un’occasione alla persona accolta di imparare la lingua, le regole, il cibo, e tanto altro. Anche la famiglia accogliente impara moltissimo e conoscendo direttamente una persona immigrata si diffonde una cultura dell’accoglienza e si combatte la paura sulle migrazioni. Il rapporto diretto fa cadere molte barriere». A Padova l’associazione opera dal 2016 e nell’ultimo anno si sono attivate dieci convivenze, quattro concluse positivamente con l’autonomia della persona accolta e nell’ultimo anno e mezzo sono nati circa 50 abbinamenti di mentoring, attività più interessante per pensionati, studenti, lavoratori giovani. «Una risposta molto positiva è quella del mentoring o community matching, vale a dire l’affiancamento di una persone rifugiata e della comunità ospitante che hanno interessi in comune e desiderano conoscersi reciprocamente – continua Lendaro – Noi mettiamo in contatto le persone che sviluppano una relazione nel tempo libero: amicizia, condivisione della propria storia, costruzione di comunità. È così che combattiamo la guerra: il contatto diretto con le persone che fuggono da conflitti o da situazioni segnate dal conflitto, la grandissima consapevolezza di chi migra della situazione del paese d’origine e le cause della migrazione che noi semplifichiamo e spesso ci nascondiamo. Entrare in relazione con un rifugiato è un’occasione per guardare a questo fenomeno da una prospettiva altra che speriamo porti a una presa di posizione della società civile per la pace e la fine di tutte le guerre». Ha un lungo percorso di accoglienza alla spalle l’associazione Aiutiamoli a vivere-Comitato Brenta Saccisica, che opera in 24 Comuni grazie alla generosità dei 323 soci di cui 192 famiglie accoglienti. Dal 1996 fino al 2019 ha ospitato i bambini bielorussi che hanno subito gli effetti indiretti del disastro nucleare di Chernobyl, esperienza bloccata prima dalla pandemia di Covid-19 e poi dalla guerra russo-ucraina. Adesso la sfida è aiutare i bambini ucraini e non solo: «Negli anni in Italia sono stati ospitati seicentomila bambini bielorussi, centomila da parte della nostra Fondazione, un risultato importante per dare una speranza in più di vita – racconta Flavio Checchin, presidente dell’associazione Brenta Saccisica – È scientificamente provato che un mese di accoglienza significa diminuire del 60 per cento i radionuclidi presenti nel sangue e che ogni visita ha determinato due anni in più di vita per un bimbo ospitato, ma la pandemia e la guerra ci hanno costretti a sospendere l’accoglienza».

Lo stop forzato non li ha del tutto fermati e dal 2022 la fondazione si è interessata all’Ucraina: grazie ai contatti con una rete di conventi in Europa, hanno portato in Ucraina 17 tir di aiuti. «A settembre 2023, su invito di varie associazioni, abbiamo pensato di organizzare una vacanza di solidarietà per i bambini ucraini e a febbraio in Italia abbiamo accolto un migliaio di bambini che stanno subendo la guerra, da noi ne sono arrivati sette – aggiunge Checchin – Ora stiamo cercando di aiutare i bambini palestinesi e grazie all’intermediazione di padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, sono arrivati in Italia con due voli e una nave: sono stati accolti in vari ospedali e alcuni si trovano nelle strutture post degenza della fondazione».

Storie senza frontiere, il 5 settembre

Il gruppo dei volontari di Medici senza frontiere di Padova il 5 settembre alle 19 nell’ambito del “Rise Festival” che si terrà al Parco degli Alpini, organizza la presentazione del libro Storie senza frontiere della scrittrice padovana Gigliola Alvisi. Contemporaneamente, il 4 e 5 settembre, i volontari di Mfs saranno a “Padova insegnaGiornata della didattica” (Centro San Gaetano), un appuntamento dedicato agli insegnanti che potranno entrare in contatto con molte realtà associative e istituzionali del territorio e con le loro proposte destinate al mondo della scuola. Info su www.padovainsegna.it

L’esperienza a Padova. Un tavolo su pace e diritti
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I l tema della pace è uno dei grandi argomenti del volontariato e a Padova ne è testimonianza quanto realizzato dal tavolo di lavoro “Pace, diritti umani e cooperazione internazionale” che ha operato per Padova capitale europea del volontariato 2020. Il tavolo, infatti, ha elaborato due guide la Guida glocale alla pace per amministratori coraggiosi e non, riguardo alle azioni che le amministrazioni locali possono mettere in campo per contribuire a una cultura di pace e la guida Ma che discorsi?!, per la diffusione di una comunicazione positiva e non violenta: «Due strumenti importanti pensando anche all’evolversi della situazione internazionale che, dopo la pandemia, ci ha portati a vivere scenari di guerra – commenta Luca Marcon, presidente del Csv di Padova e Rovigo – L’educazione alla pace è uno dei cardini dell’agire del volontario, perché la nostra azione si esprime attraverso la solidarietà e la democrazia e creare una cultura di pace è una priorità». Sulle motivazione che sostengono l’agire del volontariato, il position paper (il documento di posizione pubblicato nel sito www.padovaev capital.it) del tavolo spiega: «Essere volontari oggi, nell’ambito di un settore specifico come quello legato alla pace, ai diritti umani e alla cooperazione internazionale, ha valenza politica e comporta necessariamente un impegno volto a informare, sensibilizzare, fare pressione sul pubblico in quanto richiede la denuncia dei diritti violati e delle ingiustizie. Si agisce per il cambiamento attraverso la testimonianza: dal personale al pubblico l’esperienza concreta fa la differenza soprattutto in un contesto, come quello di oggi, in cui sono minacciati i valori fondanti il vivere comune e i diritti umani. La testimonianza pubblica è quindi intesa come esercizio dei propri diritti e doveri di cittadino/a e scelta di parlarne agli altri. Il valore della testimonianza, infatti, è tale perché dà concretezza a una realtà esperita tramite la conoscenza diretta dei problemi, non è sindacabile perché non dà giudizi, ma racconta dei vissuti, e inoltre trasmette la passione per una causa che si conosce bene e per la quale ci si impegna a fondo. Comunicare questa testimonianza è fondamentale perché aiuta a dialogare e a fare rete nell’ottica dell’ascolto e della relazione aperta con l’altro. Il volontariato può fare da ponte tra l’esperienza individuale, che è la spinta iniziale attraverso la quale si decide di impegnarsi, e la testimonianza pubblica. Essere volontari è anche una scelta politica che mette il volontariato in relazione con la politica stessa. Posizione non sempre facile da gestire tra tendenze a colmare le carenze delle politiche istituzionali e il desiderio di non assumere un ruolo di supplenza rispetto al servizio pubblico».

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