Coronavirus. Lettere dalla parrocchia della reclusione Due Palazzi: "Dopo ci sarà qualcosa di più bello ad attenderci"
Alcuni "ragazzi" della parrocchia del carcere Due Palazzi stanno tenendo i contatti con il mondo esterno grazie alla presenza del cappellano don Marco Pozza e via mail con alcuni volontari. Così si raccontano nel giro di vite alla loro ristrettezza e affidano alle righe messaggi di speranza e gratitudine per l'impegno contro l'epidemia da Coronavirus.
Questi sono giorni e notti lenti e diluiti per chi sta in carcere. Imposti dall’emergenza. Nella casa di reclusione Due Palazzi, come in tutti gli altri penitenziari d’Italia, già da alcune settimane tutte le luci si sono spente sulla scuola, le lezioni universitarie, le attività culturali, sportive e ricreative. I colloqui con i familiari non sono più possibili fino al 3 aprile. Per fortuna, la direzione della reclusione ha liberalizzato le telefonate che sono indispensabili adesso per rassicurare soprattutto gli affetti lontani.
Anche la parrocchia del carcere è ferma: i volontari non entrano e il senso di smarrimento inevitabilmente punge. La presenza del cappellano e le email sono l’unico tramite di comunicazione con il mondo esterno.
I “ragazzi”, però, non mollano e cercano di scadenzare le lunghe ore passate in cella ancorandosi a pensieri positivi: «Noi siamo persone – scrive Antonio – abituate a rialzarci sempre».
Il più dirompente è arrivato proprio nei giorni scorsi con la notizia data da papa Francesco che ha annunciato che le meditazioni della Via Crucis del venerdì santo al Colosseo sono state elaborate dalla parrocchia della casa di reclusione di Padova.
Con la mail a disposizione, alcuni di loro mantengono un filo rosso con i volontari: alle parole vergate a mano affidano emozioni, paure, preoccupazioni, ma sono responsabilmente consapevoli che le ristrettezze imposte a tutela della salute di tutti, in primis la loro, siano inevitabili per bloccare il contagio. Se il virus entrasse, tutti gli oltre 600 detenuti della casa di reclusione sarebbero a forte rischio.
Il carcere sembra tornato indietro di decenni, quando poche erano le ore fuori dalle sezioni e il tempo sembrava non passare mai. Eppure ugualmente le risorse si attivano, proprio come a casa nostra, e il tempo svuotato diventa un’opportunità anche per mettere un po’ di ordine in giro: «Quando finisco di lavorare – racconta sempre Antonio – insieme al mio compagno stiamo ridipingendo la cella» perché c’è bisogno di odore di pulito, di luce, soprattutto nella ristrettezza di tre metri quadri.
E tra un tg e l’altro c’è lo spazio per mettersi nei panni di chi lavora senza sosta per fermare il virus, riconoscendone l’alto valore della responsabilità esercitata da tutti in questo momento così pericoloso per il nostro Paese:
«Se è possibile – scrive Carlo – desidererei mandare un messaggio dal profondo del cuore in primis a tutti i medici, gli infermieri, le équipe sanitarie per l’amore, la determinazione, l’umanità, il sacrificio… perché non ci stanno abbandonando e lavorano h24. Grazie immensamente anche a tutte le forze dell’ordine, al volontariato, al governo… Il mio messaggio per tutti voi è di non arrendervi, di non smettere di lottare, di rialzarvi a ogni caduta. Se oggi c’è questo virus che sta mettendo a dura prova tutti noi è perché dopo ci sarà qualcosa di più bello, ben superiore al male che abbiamo ricevuto».
Non serve aggiungere altro. «Sono righe che parlano da sole e diventano una lezione di grande responsabilità che arriva proprio dai nostri ragazzi. Non è facile per nessuno affrontare questo pesante momento di paura, ma loro sono i primi a sapere cosa significhi vivere separati dal mondo, isolati, con il pericolo nascosto dietro l'angolo di essere dimenticati» dice don Marco Pozza che sta con delicatezza tenendo i contatti in questi giorni con alcuni di loro.