Convergenze e divergenze. Due dati opposti nella nostra politica
In questo mese di febbraio spiccano due fatti di segno opposto che meritano una sottolineatura ulteriore
Nelle cronache politico-parlamentari di questo mese di febbraio spiccano due fatti di segno opposto che meritano una sottolineatura ulteriore per quel che hanno da dire sulle dinamiche della politica nostrana. Nel bene e nel male. Il primo fatto è l’inedita convergenza di maggioranza e opposizione nel dibattito alla Camera sulla situazione in Medio Oriente e in particolare sulle mozioni per un “cessate il fuoco” umanitario a Gaza. Tecnicamente è avvenuto questo: sono stati approvati alcuni punti qualificanti della mozione del Pd, di cui era stata concordata una riformulazione, grazie all’astensione della maggioranza di governo. Potrebbe sembrare poca cosa, ma innanzitutto l’importanza del tema e poi la circostanza che a sbloccare l’accordo fossero stati i contatti telefonici diretti tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein – non a caso resi pubblici – ha conferito a questo passaggio parlamentare una rilevanza politica di primissimo piano. Certo, sia la premier che la segretaria del Pd avevano i loro specifici obiettivi da perseguire, nell’ottica di rafforzare le rispettive leadership e di aggiustare il posizionamento su una materia che vede sensibilità fortemente articolate nei partiti e negli schieramenti. Ma la politica è anche questo. I problemi nascono quando gli interessi di parte vanno in rotta di collisione con il bene comune, non quando costituiscono lo spunto e la molla per soluzioni virtuose.
L’altro fatto ha avuto luogo nello stesso contesto – l’aula di Montecitorio – ma il suo significato è di tutt’altro tenore. Si tratta dell’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della lotta alla pandemia. La bagarre in cui si è svolto il dibattito prima del voto finale ha offerto uno spettacolo imbarazzante. Ma è l’iniziativa in sé il problema principale. Sulla sua strumentalità non c’è molto da argomentare. Basti pensare che dal raggio d’azione dell’organismo sono state escluse le Regioni il cui ruolo in ambito sanitario è istituzionalmente decisivo e il cui peso nella fase della lotta al Covid è stato sin dall’inizio del tutto evidente. E’ chiaro che il vero bersaglio dell’operazione è il secondo governo Conte, quello che ha subito l’onda d’urto di un virus sconosciuto e che si vorrebbe giudicare ideologicamente con il senno del poi. Non va peraltro dimenticato che la seconda fase della lotta alla pandemia è stata gestita da un governo – quello presieduto da Mario Draghi – di cui facevano parte anche due partiti dell’attuale maggioranza. Ma questo semmai va nell’interesse dell’unico partito che era all’opposizione e che ora esprime la guida dell’esecutivo. Beninteso, qui non si vuole fare la difesa d’ufficio di nessuno. Per i reati ci sono i tribunali e per la congruità degli strumenti giuridici utilizzati c’è la Corte costituzionale, che ha avuto già modo di certificarne la legittimità. Quello che invece sembra prefigurarsi è una sorta di processo politico. C’è da sperare di essere smentiti. Ma intanto si è persa l’occasione per promuovere una riflessione comune su una pagina drammatica della vita del nostro Paese in cui la stragrande maggioranza degli italiani ha dato prova di spirito di sacrificio e di solidarietà. Una riflessione che facendo tesoro dell’esperienza fatta, degli errori come dei successi, fosse in grado di guardare al futuro alla luce di una memoria condivisa.