Braccia aperte. Nota politica
Intorno al processo sui profughi della Open Arms si è sviluppato un dibattito che ha implicazioni di grande importanza a diversi livelli
In un momento in cui a livello europeo il tema dell’immigrazione si conferma – per quanto strumentalmente – un nodo decisivo nelle scelte politiche degli Stati e della stessa Ue, in Italia i riflettori della cronaca sono puntati sul processo Open Arms, che vede coinvolto il ministro Matteo Salvini. Com’è noto, il leader della Lega è accusato di aver negato illegittimamente alla nave della ong spagnola chiamata appunto Open Arms, la possibilità di far sbarcare nel porto di Lampedusa 147 profughi soccorsi in mare. Era l’agosto del 2019. Nei giorni scorsi hanno ovviamente fatto notizia le severe richieste di condanna avanzate dalla procura e ora si attende per il 18 ottobre l’arringa della difesa. Saranno poi i competenti giudici di Palermo a emettere la sentenza e la vicenda giudiziaria seguirà il suo percorso attraverso i diversi gradi del procedimento. Al di là della sorte giudiziaria di un imputato di primario rilievo sulla scena pubblica, intorno al processo si è sviluppato un dibattito che ha implicazioni di grande importanza a diversi livelli. Un primo profilo è quello della sussistenza di principi che sono sottratti alla mutevolezza delle maggioranze politiche e che trovano riscontro nella Costituzione e nelle convenzioni internazionali. In questo caso balzano agli occhi il diritto d’asilo, universalmente tutelato, e l’obbligo di soccorrere i naufraghi secondo quelle che vengono definite le “leggi del mare”. Ricordare questi principi non significa anticipare il giudizio sulla vicenda Open Arms perché è proprio il compito della magistratura verificare se gli specifici comportamenti di un determinato soggetto hanno violato o no tali principi. E’ però doveroso rammentare che esiste una sfera, in questo come in altri ambiti, in cui la discrezionalità della politica incontra dei limiti. Si tratta di uno dei nodi cruciali del discorso sulla salute delle nostre democrazie, insidiate dal fascino di regimi che sono democratici soltanto formalmente e che si appellano a un non meglio identificato “popolo” per affermare dinamiche illiberali quando non esplicitamente autoritarie.
Un secondo profilo, collegato a una valutazione di tipo più politico-culturale ed economico, è quello dell’identificazione dell’interesse nazionale e della sua difesa in una certa situazione storica. E’ un argomento di estrema delicatezza per la presa che può avere sull’opinione pubblica in mancanza di un’adeguata informazione o in presenza di suggestioni propagandistiche che prescindono dai dati di realtà. Il nostro Paese, per esempio, non è affatto il campo profughi d’Europa come talvolta si afferma per motivare politiche restrittive. Secondo il computo di Eurostat relativo al 2023, l’Italia è soltanto quarta nella Ue per il numero di richieste di asilo con 130.600 domande, il 12% del totale, contro le 329.000 della Germania, le 160.500 della Spagna e le 141.500 della Francia. E’ solo un dato tra i tanti, ma rende bene l’idea. Viceversa il nostro Paese avrebbe bisogno di un maggiore apporto di immigrati per motivi demografici e produttivi, come sostengono concordemente, tra gli altri, i soggetti del mondo imprenditoriale. Non a caso il decreto flussi del governo prevede 450 mila nuovi ingressi in tre anni. Un dato che non viene sbandierato perché contrasta con una narrazione catastrofista e ansiogena del fenomeno migratorio, ma che è molto eloquente. Non ci sono confini nazionali da difendere per arginare un’invasione, c’è piuttosto un’accoglienza da organizzare con razionalità e umanità.