Austria: l’Epifania dei battezzati afghani, “discendenti dei Re Magi”
L'8 gennaio la comunità cattolica iraniana-afgana di Vienna celebrerà l'Epifania. Una festa molto sentita tra questi fedeli, tutti rifugiati convertiti alla fede cristiana dopo aver vissuto l’esperienza di accoglienza gratuita e disinteressata con le comunità cristiane del paese di arrivo, l'Austria e di transito, la Grecia, durante la rotta balcanica. Secondo la tradizione biblica i Re Magi provenivano dall’Oriente
Con più di 44mila ingressi in questi anni, l’Austria ospita la quarta più grande comunità afghana nel mondo, se rapportata al numero dei suoi abitanti. Solo nel 2021, seguendo la rotta balcanica, sono arrivati circa 8.000 rifugiati, in gran parte da Kabul. Il ritorno al potere dei talebani, lo scorso 15 agosto, ha avuto, tra le sue conseguenze, anche quelle di congelare i finanziamenti internazionali e i beni depositati all’estero lasciando cadere il Paese in una vera e propria catastrofe umanitaria e spingendo decine di migliaia di persone a fuggire per cercare protezione in quelli che un tempo erano considerati Paesi amici. Come l’Austria, appunto. Le agenzie umanitarie, le Ong e le Chiese sono in prima linea nel prestare aiuto, collaborando con le Istituzioni austriache per favorirne l’inclusione e l’integrazione nell’attesa che venga loro riconosciuto un eventuale status di rifugiato. Ed è proprio in questo contesto di ‘accoglienza’ che si sta facendo strada un fenomeno che vede sempre più immigrati afghani, ma anche iraniani, avvicinarsi alla fede cattolica e chiedere il battesimo.
“Perché fate questo per noi?” A spiegare al Sir questa “esperienza che vede coinvolta la Chiesa cattolica locale” è Alexander Kraljic, direttore nazionale per la Pastorale dei migranti e le comunità di lingua straniera in Austria. “Il tutto è nato con l’arrivo dei primi rifugiati afghani e iraniani tra il 2011 e il 2012. Abbiamo notato un certo loro interesse verso la religione cristiana, in maniera particolare da parte degli iraniani, musulmani sciiti appartenenti alla minoranza Hazara, etnia storicamente perseguitata dai talebani e dallo Stato islamico anche in Afghanistan. Si tratta di persone religiose che, provenendo da contesti di persecuzione e violenza, cercano di ri-orientare la loro fede”.
L’intuizione. La molla che spinge queste persone a rimettere in discussione la propria fede islamica, dichiara Kraljic, “è anche l’esperienza di accoglienza e vicinanza gratuita e disinteressata fatta con le comunità cristiane del paese di arrivo, in questo caso l’Austria, ma prima ancora in Grecia, durante l’impervio cammino sulla rotta balcanica”. Fanno fede alcune testimonianze di questi rifugiati ai loro soccorritori: “ci hanno raccontato di aver ricevuto un’accoglienza degna di persone, di uomini. Ci chiedevano: ‘Perché fate questo per noi, cosa vi spinge, cosa sentite nel cuore per avere la forza e la volontà di condividere ciò che avete con noi? Se agite in nome della vostra fede, allora questa merita di essere conosciuta e approfondita”. La risposta? “La nostra risposta è contenuta in Matteo 25, quando leggiamo ‘ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi’. Un brano evangelico oramai divenuto chiave anche per questi rifugiati”.
“Intuiscono che Gesù non può essere solo un profeta e lo riscoprono come Dio nel Vangelo”.
Catecumenato. Da questa “intuizione” prende avvio un percorso di avvicinamento e di studio della fede cristiana che si avvale anche di sussidi e testi biblici in lingua farsi (persiana) e afghana. “La messa era – tranne le letture e il Padre Nostro – in tedesco. Oggi usiamo il messale persiano dell’Iran. Un nostro sacerdote sta imparando la lingua e può celebrare la messa”. “Purtroppo – aggiunge il direttore – nel caso degli afghani il problema grave è che molti non sanno leggere o scrivere così usiamo la Rete che offre la possibilità di ascoltare i testi letti nella loro lingua”. “In questi anni nell’arcidiocesi di Vienna abbiamo accompagnato circa 300-400 afghani ma non tutti hanno scelto di battezzarsi – precisa Kraljic -. Il cammino di catecumenato, della durata minima di un anno, viene offerto anche in altre diocesi. A Vienna ci sono molte parrocchie e tante persone disposte ad aiutare ed è più facile per un rifugiato trovare un ambiente idoneo. Lo scoglio più grande, come ho già detto, è la lingua, per questo si tende a usare l’inglese oltre al tedesco. Fuori Vienna è più difficile perché la gente è meno aperta e gli stessi parroci hanno difficoltà a trattare con i rifugiati a causa della lingua”.
Rispetto della legge. Ma c’è un altro aspetto molto a cuore al direttore Kraljic: il rispetto delle leggi. Per questo motivo sin dall’inizio “abbiamo comunicato e illustrato alle Istituzioni giudiziarie questa esperienza in atto nella nostra arcidiocesi. Non vogliamo che si pensi che facciamo proselitismo e soprattutto intendiamo allontanare il sospetto che gli immigrati chiedano il battesimo per essere registrati come convertiti al solo fine di ottenere asilo politico. Per questo, in osservanza a un principio di prudenza, chi vuole iniziare il catecumenato è tenuto a presentarsi per tempo e farsi conoscere. In questi anni, in Austria, gli afghani che hanno scelto di abbracciare la fede cattolica sono stati circa 500 su oltre 44mila persone. Credo che un numero più o meno simile si registri anche nelle Chiese protestanti”.
“Diverso approccio”. Nell’esperienza di avvicinamento e di conversione alla fede cristiana è possibile notare “un diverso approccio” da parte di iraniani e di afghani. Spiega Kraljic: “gli iraniani in genere abbracciano la fede cristiana insieme ai loro familiari, moglie e figli. Per gli afghani invece si tratta di una decisione individuale anche perché nella maggioranza dei casi le mogli e i figli sono rimasti in Afghanistan. Se si verificano dei ricongiungimenti familiari chiediamo loro di non fare pressioni sulla famiglia perché la conversione deve restare un atto libero e consapevole. L’esperienza di questi anni ci insegna che spesso le mogli sono più legate alle tradizioni afghane ma rispettano la decisione del marito, pur non abbracciando la fede dello stesso”. Più complesso, invece, appare mantenere i rapporti con i propri connazionali rifugiati: “nei luoghi di vita comune si può verificare qualche tensione tra chi si è convertito e chi no, ma in genere i rapporti permangono cordiali, anche perché il numero dei fondamentalisti islamici tra i rifugiati non è elevato”. I problemi veri sorgono quando si tratta di mantenere i legami con gli altri familiari rimasti in Afghanistan e in Iran. In questi Paesi l’apostasia è sanzionata duramente, in taluni casi anche con la morte. “Spesso la notizia della conversione di un congiunto provoca la rottura delle relazioni con la famiglia di origine – afferma il direttore -. Chi si converte lo sa bene. Si tratta di una scelta che richiede un alto livello di consapevolezza e convinzione. Questo vale soprattutto per coloro che, non avendo ottenuto lo status di rifugiato, sono costretti a rientrare in Afghanistan”.
Discendenti dei Magi. La scoperta della fede cristiana è anche la scoperta delle sue ricorrenze liturgiche che ne scandiscono il tempo. Tra tutte le feste, rivela Kraljic, “quella maggiormente sentita soprattutto dagli afghani convertiti è l’Epifania. La ragione – spiega – sta nel fatto che secondo l’antica tradizione biblica e della Chiesa i Re Magi provenivano dall’Oriente. Uno di loro, Gaspare, pare che fosse un sovrano dell’Impero Kusana, corrispondente all’attuale Afghanistan. I Magi avvistarono la stella in Oriente e vennero a Betlemme per adorare il Signore. Un dettaglio interessante riguarda l’espressione “mago” (greco: magos) di origine iraniana (“mogh”, neo persiano: “madjus”) che era il nome dato ai sacerdoti zoroastriani. E anche i regali – oro, incenso e mirra – e l’atto della adorazione (proskýnesis) si riferiscono al culto e al cerimoniale degli antichi re persiani”.
“I Magi sono stati i primi a cercare Gesù è questo per loro è molto importante: si reputano i discendenti dei Magi. Dunque per molti di loro si tratta di un ritorno alla fede originaria, prima dell’avvento dell’Islam”.
Quest’anno la comunità cattolica iraniana-afgana di Vienna celebrerà l’Epifania solamente l’8 Gennaio perché, spiega il direttore, “giovedì 6 molti dovranno lavorare. Vedremo se organizzare anche un momento di ritrovo, molto dipenderà dalle restrizioni anti-Covid-19”.