Asilo, tortura, stampa, tratta: non eseguite 43% delle sentenze della Corte diritti dell’uomo
La denuncia in un documento della Rete europea per l’implementazione. Riguardano problemi “strutturali” o “significativi”: 1200 quelle ancora in sospeso
Il 43% delle principali sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’ultimo decennio non è ancora stato eseguito. Si tratta di decisioni che hanno a che fare con problemi “strutturali” o “significativi” e quelle a essere ancora in sospeso sono circa 1.200. Lo denuncia un documento della rete europea per l’implementazione (Ein). Che chiarisce anche come si tratti di una situazione che - dove più, dove meno - coinvolge tutti i paesi che hanno sottoscritto la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu). Un problema enorme in termini di rispetto dei diritti umani, dato che la Corte è considerata lo strumento più importante per la promozione della democrazia nel Vecchio Continente. Finora ha emesso oltre 10 mila sentenze.
In lista d’attesa. Le sentenze ancora non eseguite si occupano spesso di questi temi: impunità per chi commette tortura (in Grecia); attacchi ai giornalisti (Polonia, Turchia e Ucraina); assalti alla magistratura (Ungheria); prigionieri politici (Azerbaijan); rifiuto del diritto d’asilo ai migranti (Italia); tratta di esseri umani (Grecia); processi iniqui (una violazione diffusa); divieti arbitrari di pacifiche proteste pubbliche (Russia).
Un problema diffuso. “Per coloro che hanno familiarità con il sistema Cedu, è noto che il problema dell'implementazione riguarda soprattutto la Russia, l'Azerbaigian e la Turchia”, dice a Osservatorio Diritti il co-direttore di Ein, George Stafford. “Ciò che è stato sorprendente per me è la mancata attuazione in altri Stati, come Bulgaria, Ungheria, Romania, Croazia, Grecia e Italia. Questo dimostra che non possiamo incolpare alcuni paesi particolarmente meno virtuosi di altri”.
Le ragioni per cui le sentenze non vengono eseguite sono le più diverse. Dice ancora Stafford: “Alcuni paesi non hanno un meccanismo politico strutturale che sia efficace nel trasformare le sentenze in riforme. Alcuni sono ideologicamente contrari alle sentenze, o addirittura al sistema Cedu nel suo insieme. Alcuni governi considerano le sentenze una minaccia al mantenimento del potere. Altri potrebbero non avere le risorse - o l'inclinazione a spendere risorse - per proteggere i diritti umani. A volte tutti questi motivi insieme”.
Come cambiare. Stafford pensa siano necessarie tre modifiche per cambiare la situazione. Primo: stati e istituzioni internazionali devono riconoscere che si tratta di un grande problema, destinando anche le risorse necessarie ad affrontarlo. Poi dovrebbe esserci “una maggiore pressione dall’alto verso il basso da Consiglio d’Europa e Ue”. Infine, “è necessario aumentare la pressione dal basso da parte della società civile e dei membri del pubblico. Il cambiamento più efficace deve provenire dalle persone più vicine al problema. Dobbiamo fare di più e a mio avviso l'azione della società civile dovrebbe essere meglio finanziata”.