Addio Luis Sepulveda, ci ha raccontato che il Creato è uno solo
Le sue erano anche favole, nel senso che, come spesso accade nelle fiabe, parlavano ai ragazzini per farsi sentire dagli adulti, con animali che ammoniscono l’uomo a capire bene cosa significhi civiltà. Il suo impatto è tutt’altro che indolore, spiegava e raccontava Sepulveda, non solo sugli animali, ma sui ghiacci, sulle acque, sull’erba, sugli abitanti della terra che hanno seguito altre strade, diverse da quelle della “civiltà”: gli indios, ad esempio, con cui visse per un periodo, comprendendo anche i limiti del suo proprio sguardo di uomo “civile”, perché il loro vivere a contatto con la natura e i suoi prodotti significava la messa in crisi della sua ideologia marxista, che si basava tutta sull’industrializzazione e sulla “modernità” dei mezzi di produzione.
Così anche la letteratura paga il suo tributo. Luis Sepulveda Calfucura ci ha lasciato, a settant’anni, lontano dal suo Cile. È morto oggi a Oviedo, in Spagna, dove abitava da diverso tempo, a causa del Covid-19.
Aveva venduto più di 9 milioni di copie di “Storia di una gabbianella del gatto che le insegnò a volare”, di “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” e tanti altri racconti in cui precipitavano – in una sostanza creativa sospesa tra favola, sogno, politica, memoria e nostalgia – personaggi che sono divenuti famosi, e non solo tra gli esperti di letteratura.
Aveva lasciato il Cile dopo la presa del potere dei militari che avevano rovesciato il governo di Salvador Allende (aveva fatto parte della guardia personale del presidente socialista ucciso nel golpe del 1973 ed aveva passato quasi tre anni in carcere). Aveva poi militato attivamente in Greenpeace e nelle lotte per la tutela del mare e della terra, contro l’inquinamento e la lenta soppressione dell’ecosistema.
Le sue erano anche favole, nel senso che, come spesso accade nelle fiabe, parlavano ai ragazzini per farsi sentire dagli adulti, con animali che ammoniscono l’uomo a capire bene cosa significhi civiltà.
Il suo impatto è tutt’altro che indolore, spiegava e raccontava Sepulveda, non solo sugli animali, ma sui ghiacci, sulle acque, sull’erba, sugli abitanti della terra che hanno seguito altre strade, diverse da quelle della “civiltà”. Gli indios, ad esempio, con cui visse per un periodo, comprendendo anche i limiti del suo proprio sguardo di uomo “civile”, perché il loro vivere a contatto con la natura e i suoi prodotti significava la messa in crisi della sua ideologia marxista, che si basava tutta sull’industrializzazione e sulla “modernità” dei mezzi di produzione.
Un’esistenza dunque coraggiosa, non solo per la militanza e per la difesa degli ultimi, ma
per il coraggio di mettere in discussione antiche certezze e combattere senza più pregiudizi ideologici per il bene primario della vita a contatto con la natura.
Un esempio ammirevole di coerenza estrema, dunque, di capacità di far coincidere il racconto di sé – e degli altri – con la reale, apparentemente banale, vita di tutti i giorni. Che è più eroica, ce lo hanno insegnato in tanti, di quello che si possa pensare.
A patto di non lasciarsi andare allo scoraggiamento di combattere per il bene, che esiste.
Qui, e ora, ce lo ha detto, anzi, raccontato, anche lui, ma è un insegnamento che viene da molto lontano (ce lo hanno insegnato anche un Cantico e un’enciclica papale dallo stesso nome), e si chiama futuro dell’uomo a contatto – e in armonia – con la madre natura.