Un bel tacer non fu mai scritto. Due casi di cronaca a confronto con un antico saggio popolare
Ci sono stati due silenzi, tra loro diversi, che in questi giorni sono apparsi nella cronaca: il primo è un “tacere mancato”, il secondo è un “tacere voluto”.
“Un bel tacer non fu mai scritto”: l’antico saggio popolare torna alla mente nel leggere le dichiarazioni e gli interventi che la cronaca quotidianamente riprende e rilancia.
Con il silenzio non si costruiscono le notizie e quindi massimo rispetto per le parole. Ma è lo stesso silenzio a farsi strada come forma di comunicazione che aiuta le parole a ritrovare il loro significato.
Ci sono stati due silenzi, tra loro diversi, che in questi giorni sono apparsi nella cronaca: il primo è un “tacere mancato”, il secondo è un “tacere voluto”.
Il primo si riferisce a un recente dibattito sul Covid, il secondo a un recente e imprevisto atto di bontà verso un ragazzo di 14 anni che soffre di una malattia invalidante.
In “un bel tacer non fu mai scritto” si può riassumere la risposta a chi, prendendo la parola sul contagio e sulle misure per contenerlo, ha sostanzialmente condiviso le tesi negazioniste: le terapie intensive non ci sono mai state o ci sono state in misura così ridotta da non giustificare le rigide misure per la sicurezza sanitaria.
Può accadere a chiunque di scivolare sulle proprie parole e quindi non si tratta di puntare il dito contro una persona con nome e cognome. Si tratta di richiamare la responsabilità di affermazioni e valutazioni non fondate sulla realtà.
Il presidente della Repubblica non ha perso tempo nel richiamare il dovere dell’onestà intellettuale a fronte di un popolo che, dati alla mano, ha sofferto e ancora non ha vinto la battaglia contro il virus.
L’invito non è dunque a zittirsi ma a pensare prima di prendere la parola: il pensiero si ribella alla ideologia, alla strumentalizzazione, all’apparenza.
Il secondo caso di cronaca, quello del “tacere voluto”, riguarda la casa di Leo in provincia di Padova: una casa attrezzata per assistere il piccolo malato che è finita all’asta per la crisi della azienda di famiglia.
Due anni di trepidazione perché la cifra necessaria per mantenere la proprietà di quella casa particolare appariva irraggiungibile nonostante l’impegno di un comitato che aveva coinvolto anche la comunità locale.
Si era raccolto un terzo della cifra necessaria, 240.000 euro, e visto il termine del 3 settembre 2020, l’impresa sembrava ormai persa, anche a causa del Covid.
Qualcuno è intervenuto rendendo possibile il passaggio dal sogno alla realtà. Nessuna dichiarazione, nessuna parola da parte sua: ha scelto il silenzio, ha scelto il “bel tacer”.
Due casi diversi, se non opposti, per riflettere sui diversi significati che nella cronaca può assumere un antico saggio popolare.