Nota politica. Il principio di realtà oltre la propaganda dei populisti
Nel suo rapporto problematico con il principio di realtà la politica conosce anche un filone che si manifesta quando leader e partiti sembrano perdere il contatto con la concretezza dei problemi che dovrebbero concorrere a risolvere.
Sulla scena politica, in questi ultimi anni, abbiamo assistito a un’offensiva su larga scala contro il principio di realtà. L’ondata populista, soprattutto nell’aggiornata versione sovranista, ha costruito consensi massicci sulla base di una propaganda demagogica che si è avvalsa di un uso sistematico e spregiudicato dei nuovi media. È riuscita così a imporre un’agenda tutta ideologica delle priorità politiche e a far passare nell’opinione pubblica l’illusione di pseudo-soluzioni ad alto tasso di semplificazione, peraltro smentite dai fatti nei rari casi in cui esse sono arrivate alla verifica dei risultati. Il meccanismo cominciava a registrare già qualche scricchiolio e poi è arrivata la tragedia della pandemia, con il suo carico di lutti e di sacrifici, a spezzare l’incantesimo. Il rifiuto del principio di realtà, beninteso, non è scomparso ma ha preso altre vie, come quella del negazionismo, che però – e per fortuna – appare al momento come un fenomeno minoritario, per quanto assai pericoloso, specialmente se sostenuto da soggetti pubblicamente rilevanti.
Ma nel suo rapporto problematico con il principio di realtà la politica conosce anche un altro filone dialettico. È quello che si manifesta quando leader e partiti sembrano perdere il contatto con la concretezza dei problemi che dovrebbero concorrere a risolvere e si avvitano in dinamiche di competizione per il potere tutte interne al loro mondo. Quanto sta avvenendo in Italia intorno alle sorti del governo – innanzitutto sul versante della maggioranza, ma anche sulla sponda dell’opposizione – sembra appartenere a questo filone. Non perché i governi siano inamovibili o immodificabili (in una democrazia essi sono per definizione “pro-tempore” come tutti gli organismi e gli incarichi) ma perché queste operazioni e i disegni che si scorgono dietro di esse appaiono sganciati dalla realtà del Paese in questo preciso frangente storico. Piuttosto che cercare di descrivere queste manovre – con il rischio di essere superati dagli eventi tanto sono frequenti e repentini i cambi di direzione – forse è più utile rammentare in sintesi il contesto politico-sociale.
La pandemia continua a mietere vittime e i segnali di rallentamento sono precari e non univoci; è alle porte un colossale impegno per la vaccinazione di milioni di persone; la crisi economica innescata dal Covid continua a mordere nonostante i tanti interventi di ristoro; la legge di bilancio per il prossimo anno dev’essere approvata entro il 31 dicembre; bisogna compiere con urgenza scelte decisive per l’impiego dei fondi europei straordinari, scelte che avranno effetti sull’economia italiana almeno fino al 2026. Basta per ritenere che in una situazione del genere provocare o anche solo ipotizzare una crisi di governo sia un pensiero da marziani? Se per assurdo non dovesse bastare, il principio di realtà imporrebbe di guardare anche al di fuori dei confini nazionali. A parte (si fa per dire) il fatto che l’Italia dal primo dicembre ha la presidenza del G20, rischiamo di bruciare in poche settimane la nostra credibilità internazionale, affossando o delegittimando l’esecutivo in un momento cruciale per il futuro dell’Europa e con gli equilibri mondiali in corso di ridefinizione dopo l’elezione di Biden. E il vento, tanto per essere chiari, non spira nella direzione gradita ai sovranisti, compresi quelli di casa nostra. Dopo di che ognuno si assumerà la responsabilità delle proprie scelte, ma alla fine la realtà sarà sempre più forte della propaganda.