Non è il momento di polemiche pretestuose
Persino di fronte ai fatti gravissimi di Nizza, anzi, strumentalizzando proprio tali fatti, non si è persa l'occasione per imbastire una polemica politica.
Anche in un momento drammatico come quello che sta vivendo il Paese, impegnato come gli altri partner europei a combattere una recrudescenza della pandemia più insidiosa di quanto già si potesse prevedere, e persino di fronte ai fatti gravissimi di Nizza, anzi, strumentalizzando proprio tali fatti, non si è persa l’occasione per imbastire una polemica politica di cortissimo respiro intorno al tema delicato e complesso dell’immigrazione.
E’ come se il populismo, che pure non ha mancato di esercitare la propria nefasta influenza alimentando comportamenti irresponsabili nell’emergenza da Covid, non potesse fare a meno di un argomento che nel suo arsenale propagandistico riveste un ruolo non solo decisivo, ma addirittura genetico.
Riuscire ad additare i migranti come il capro espiatorio su cui scaricare tutti i problemi della società, sovvertendo nell’opinione pubblica quella che sarebbe stata una razionale agenda politica, è stato infatti il miracolo negativo che negli ultimi anni ha consentito alle forze populiste di imporsi sulla scena elettorale con esiti talvolta clamorosi.
Non a caso anche agli inizi della pandemia è stata tentata l’operazione di accusare i migranti di essere il pericolo numero uno per la salute pubblica, prima che l’evidenza della realtà si incaricasse di smentire questa assurda pretesa. E tuttavia il tentativo viene ciclicamente ripetuto pur con scarsi risultati.
Stavolta la polemica è stata costruita sul fatto che il killer della cattedrale di Nizza fosse arrivato dalla Tunisia in Italia e che, dopo aver ricevuto l’ordine di espulsione dalle nostre autorità, avesse fatto perdere la proprie tracce per poi raggiungere il territorio francese con l’intento di compiere una strage.
La questione è estremamente seria e come tale andrebbe finalmente affrontata anche a livello europeo, non certo con la richiesta di dimissioni dell’attuale ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, da parte del suo predecessore, Matteo Salvini.
Il nodo dei “documenti espulsivi difficilmente eseguibili” era stato segnalato dalla commissione De Mistura già nel 2007 e ha investito tutti i ministri che in questi anni si sono succeduti al Viminale. Compreso lo stesso Salvini, la cui gestione non ha fatto registrare progressi su questo versante. I cosiddetti “decreti sicurezza” hanno semmai allargato l’area degli irregolari, chiudendo i percorsi di regolarizzazioni previsti dalla normativa precedente senza prevedere alternative praticabili.
Il governo in carica ha impiegato oltre un anno, nonostante il prodigarsi della ministra Lamorgese, per una parziale revisione dei decreti Salvini, ed è questa la critica che ragionevolmente gli può essere mossa, non il suo contrario.
Adesso però non è il momento delle polemiche, a maggior ragione di quelle pretestuose.
E’ invece l’ora, come ha affermato il capo dello Stato rendendo omaggio alle vittime del Covid nel cimitero di Castagneto, di mettere da parte “partigianerie, protagonismi, egoismi, per unire gli sforzi, di tutti e di ciascuno – quale che sia il suo ruolo e quali siano le sue convinzioni – nell’obiettivo comune di difendere la salute delle persone e di assicurare la ripresa del nostro Paese”.