Il Natale di carta. Un Natale che assomiglia tanto ai nostri presepi
Chi crea presepi lo sa bene: ogni anno c’è sempre qualcosa di diverso. Una sorpresa inaspettata. Un’idea nuova o un ricordo che riaffiora. Così dal fondo di un armadio, torna alla luce la scatola di Natale, dove ogni anno, escono e rientrano i simboli del presepio. Una rinascita, che molto spesso conserva lo stupore infantile di riaprire quel mondo rinchiuso in una scatola, che può custodire le vecchie statue dei nonni, di papà e quelle più nuove dei nipoti di oggi.
Accade così che da appassionato presepista, una piccola smunta Natività fatta di carta antica, usurata in ogni sua parte, sia però ancora essenziale nella sua rappresentazione, ed esca dal cassetto come un vecchio gioiello di famiglia. Una Natività bella e pronta, ripiegata su se stessa a fisarmonica, com’era in voga negli anni austeri del dopoguerra. Basta allora un leggero tocco di mano, che vedi comparire un mondo tridimensionale, con muri e personaggi che si raddrizzano all’improvviso. Ecco che con un semplice gesto, in un batter d’occhio il presepio di carta si apre al nostro mondo. Da più di mezzo secolo ogni anno la stessa storia: ma l’aprire e chiudere in continuazione l’ha reso fragile e delicato, come un “castello di carta”. «Non ho memoria quanti anni siano che espongo questo presepio –mi dice zia Mariuccia, qualche giorno fa-, ma so che tua nonna lo prese per tuo papà, quand’era ancora piccolino…».
Sono trascorsi settant’anni e quel presepio di carta ha ancora la sua forza evocativa anche se malconcia, anche se ad ogni Natale cede pezzi del suo mondo. Stavolta è toccato al paggio di uno dei re magi. Il pastorello poi stenta a restare dritto, così il muro di cartone che fa da quinta, già decadente di suo, è destinato a sbriciolarsi in brandelli di carta. Per salvare l’intera scena il presepio viene messo a forza dentro un cestino di vimini che funge da custodia, con un danno maggiore quando deve essere rimosso. Così quest’anno, spontaneamente mi sono offerto di restaurarlo, sapendo di mettere mano a una parte del mio passato. Persi papà in giovanissima età, e questo presepio rappresenta un tassello del mio passato. Il Natale è o dovrebbe essere questo: riempire quei vuoti, che i restanti giorni dell’anno non sanno fare. Vien facile immaginare cosa significhi restaurare un mondo di carta: incolli un pezzo e se ne staccano altrettanti. In fondo, è la precarietà umana che ogni presepio del mondo porta in scena ogni anno.
C’è poi da sistemare le due spallette e il paesaggio di fondo, bucolico come sempre. Sono evidenti i segni delle mani di chi per decenni ha manipolato questa carta: per questo basta qualche colpo di “gomma pane” per rimuovere polvere e sporcizia, ravvivando i colori, e ridare spirito alle figure statiche fino a poco fa piegate. Il pensiero corre alle tante mani che avrà toccato questa Natività? Mani grandi servite ad aprire e mani piccole che si saranno spinte per curiosità, fino a toccare il bambinello al centro dell’elegante scena. Chi non vorrebbe toccare Gesù appena nato!? E’ il motivo per cui ottocento anni fa -era il 1224 a Greccio-, Francesco di Assisi volle realizzare una scena che facesse “toccare con mano e vedere con gli occhi, il divin momento”. Ultima cosa che mi restava da sistemare, è stata la tettoia della capanna: la trave principale è troncata, rosicchiata chissà da qualche topolino o strattonata da mani poco accorte. Nulla dura. Torno col pensiero a questo mondo: a quanto c’è ancora da “restaurare” per renderlo un luogo migliore. Più confortevole, accogliente e umano! Un ultimo pezzetto di cartoncino, della colla, in pizzico di attenzione e passione, ed ecco che anche il presepio di carta ora è più solido e sicuro. Pare l’abbiano compreso anche i due re Magi, stranamente tutti di colore, che dopo una aggiustatina hanno ritrovato la loro regale postura di sempre. Che dire degli angioletti dalle ali spuntate, accovacciati sull’angolo della capanna, sembrano rispettare il “distanziamento” cui siamo sottoposti tutti in questo nostro Natale? La musica angelica è oggi coperta dalle notizie dei telegiornali. Dei bollettini da “record”: per vittime, contagi, chiusure, ecc. Con il silenzio imposto dal “coprifuoco” nei giorni di festa.
Chissà, forse, in questo silenzio sarà più facile sentire i vagiti di quel bambino appena nato. Forse sarà più facile comprendere quella nascita avvenuta nel silenzio umano?! Tocca a me ora, distanziare i re Magi dai pastori e dalla Sacra Famiglia. La carta col passar del tempo, tende a ripiegarsi su se stessa, un po’ come facciamo noi. Lo faccio incollando dietro a ogni figura una linguetta che comunque, deve appoggiarsi sulla figura successiva. C’è sempre da appoggiarsi a qualcuno. Un fatto estetico il mio, mentre il ”distanziamento” nostro è storia di questi giorni: distanziati per paura di essere contagiati dall’altro. Storia che si ripete tra gli uomini: non era un virus quello di allora, ma anche i primi testimoni della Natività, i pastori, erano considerati degli impuri e intoccabili. Devo ora toccare il serafico pastorello che qui ha perso il suo bastone: due sforbiciate ed ecco ricomposta l’ultima figura del presepio di carta, che mi fa già assaporare la soddisfazione per un mondo di ricordi, recuperati. Talmente fragile questo presepio restaurato, da assomigliare al Natale che viviamo, come al mondo in cui stiamo: tanto fragile da sembrare di carta!