Giuseppe è la generazione senza la procreazione, la protezione senza la rivendicazione
Molti posano uno sguardo mesto sulle persone celibi perché credono che il celibato sia una mera rinuncia e che porti all’appassimento di sé; invece c’è una gioia propria del celibato, che è quella di desiderare di essere sorpassati. Il godimento del celibato è nella fioritura delle persone che si accompagnano e chi vede fiorire persone attorno a sé sfugge al bisogno di razzolare gioie altrove; il godimento del celibato non è nell’efficacia e nel risultato, ma nell’essere sempre meno indispensabili, nella capacità di acconsentire al proprio tramonto affinché una luce sempre nuova sorga ancora sul mondo
“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io angosciati ti cercavamo” (Lc 2, 48). È la domanda di Maria (e di Giuseppe) a Gesù, smarrito (e ritrovato) nel Tempio. È la domanda di ogni genitore, quando riconosce che il figlio non coincide con la prosecuzione di sé, né con la conferma delle sue aspettative. È la domanda di ogni padre spirituale, quando impara a rinunciare al possesso, al controllo, all’usucapione della libertà della persona che accompagna.
Giuseppe, protettore della Chiesa universale, patrono dei moribondi, dovrebbe essere ufficialmente proclamato anche patrono delle guide spirituali e di coloro che, nel ministero sacerdotale e nel sacramento della riconciliazione, fanno del loro celibato uno spazio libero di accoglienza, di smascheramento, di misericordia.
Perché Giuseppe è la generazione senza la procreazione, è la protezione senza la rivendicazione, è il legame ottenuto non a forza di svalutazioni e di sensi di colpa, ma costruito con la cura e con lo scambio di parole attinte dalla propria profondità. Ci ricorda Nathalie Sarthou-Lajus nel bellissimo libro “L’arte di trasmettere” che nessuno può credere nella sua grandezza se qualcuno prima di lui non ha formulato il desiderio della sua grandezza. Giuseppe ha dato l’identità a Gesù, lo ha individuato: “Egli lo chiamò Gesù (Dio salva)” (Mt 1, 25).
Ha creduto che suo Figlio potesse realizzare le promesse fatte a Israele per il mondo intero. Così i padri spirituali e i confessori sono chiamati a testimoniare che nessuno combacia con i suoi peccati e che si può sempre ricostruire, anche se si è ridotti in macerie.
Molti posano uno sguardo mesto sulle persone celibi perché credono che il celibato sia una mera rinuncia e che porti all’appassimento di sé; invece c’è una gioia propria del celibato, che è quella di desiderare di essere sorpassati. Il godimento del celibato è nella fioritura delle persone che si accompagnano e chi vede fiorire persone attorno a sé sfugge al bisogno di razzolare gioie altrove; il godimento del celibato non è nell’efficacia e nel risultato, ma nell’essere sempre meno indispensabili, nella capacità di acconsentire al proprio tramonto affinché una luce sempre nuova sorga ancora sul mondo.
Gabriele Vecchione (*)
(*) vicario parrocchiale Nostra Signora di Lourdes a Tor Marancia (Roma)