Rotta balcanica. Caritas Marche: un viaggio dal Montenegro a Trieste per conoscere le difficoltà dei migranti e le attività messe in campo

I Balcani sono uno raccordo importante per molti profughi provenienti dal Medioriente e dall’Africa centro-settentrionale diretti verso l’Unione europea

Rotta balcanica. Caritas Marche: un viaggio dal Montenegro a Trieste per conoscere le difficoltà dei migranti e le attività messe in campo

La Rotta balcanica è divenuta una dei maggiori passaggi intrapresi dai migranti nel loro esodo per raggiungere l’Europa. Nel tempo la Rotta ha impiegato un compito fondamentale nella metamorfosi dei fenomeni migratori, trasformando i Balcani in uno raccordo importante per molti profughi provenienti dal Medioriente e dall’Africa centro-settentrionale diretti verso l’Unione europea. La Rotta balcanica continua ad essere una via privilegiata. Il Montenegro risulta infatti essere una meta di passaggio per l’ingresso in Europa.

Caritas Marche è andata nei Balcani per un viaggio di approfondimento della Rotta balcanica e di conoscenza delle attività e dei progetti delle Caritas locali. Si è trattato di un Press-Trip inserito all’interno del progetto “Remap” che già un anno e mezzo fa portò diversi giovani delle diocesi marchigiane a visitare le persone ospitate nei campi in Bosnia.

Nella prima tappa in Montenegro, nelle diocesi di Kotor e Bar, il delegato di Caritas Marche, Marco D’Aurizio, e il direttore di Caritas Ancona-Osimo, Simone Breccia, hanno vissuto esperienze significative come la visita del Centro per richiedenti asilo e l’incontro con diverse persone provenienti dai territori dell’Ucraina e della Russia. La Caritas nasce nel Paese in seguito al terremoto del 1979 sviluppando una rete emergenziale a supporto della popolazione. Negli anni ’90 inizia a formarsi un nucleo strutturato di volontari e di professionisti a supporto. Attualmente offre servizi assistenziali per molti anziani e svolge attività di inclusione sociale a sostegno di persone con disabilità.
Mons. Rrok Gjonlleshaj, arcivescovo di Bar e amministratore della diocesi di Kotor, ha salutato la delegazione marchigiana: “Sono grato di avere avuto l’opportunità di conoscere i membri provenienti dalla Caritas italiana e aver condiviso con loro le esperienze del nostro lavoro nei periodi precedenti. Come Chiesa locale siamo felici di avere l’opportunità di cooperare e condividere la nostra missione che dovrebbe essere intrapresa qui in Montenegro. Oggi siamo davanti alla statua della Vergine dello Spirito Santo e in questo senso speriamo che lo Spirito Santo segua le nostre attività e continui ad ispirare il nostro lavoro per i prossimi anni.

Il ruolo e l’importanza della Caritas sono molto presenti qui in Montenegro come parte della Chiesa locale, per trasferire la sua missione sociale nelle attività di tutti i giorni, seguendo le basiche e concrete leggi che sono trasmesse dalla Caritas alle persone bisognose”.

Il direttore di Caritas Montenegro, Marko Djelovic, e il direttore di Caritas Kotor, don Zeljko Paskovic, hanno presentato alcuni progetti di assistenza per la popolazione locale come la Cucina popolare di Tivat o i Centri di accoglienza di Bar. Sulla questione migranti, la situazione è variata nel tempo, l’emergenza Ucraina ha mutato le condizioni dell’accoglienza, infatti decine di migliaia di rifugiati sono arrivati nella regione per ottenere protezione internazionale.

In Serbia, dall’inizio dell’emergenza, sono stati attivati circa 19 campi profughi che hanno accolto migliaia di migranti, qui la situazione umanitaria è certamente migliore rispetto ad altre compagini del contesto balcanico. Questo perché la Repubblica serba è stata coinvolta fin da subito nell’emergenza migratoria. Tuttavia, è avvenuto un netto ridimensionamento dei centri di accoglienza passati da 19 a circa 6, lontani dai confini europei.

Per quanto riguarda la definizione dei flussi migratori, Daniele Bombardi di Caritas italiana nei Balcani ha dichiarato: “È molto difficile fare delle previsioni perché la ‘Rotta’ ha dimostrato in questi anni di cambiare continuamente, forse la previsione è proprio quella dell’imprevedibilità.

I flussi dipendono dalle situazioni socio-politiche del Paese di destinazione e da quanto l’Ue è accogliente o quanto respingente alle frontiere, quindi i Balcani si trovano tra l’incudine e il martello e incidono poco, perché vedono sul loro territorio passare le persone dai paesi più in difficoltà che provano a raggiungere l’Europa.

Anche Caritas è presente lungo tutta la Rotta in tutti i Paesi, dalla Turchia fino alla Serbia con servizi alle persone e indipendentemente da quante ce ne sono o da che profilo si presenta”.

È terminato con la tappa di Trieste il viaggio di Caritas Marche per approfondire la conoscenza della Rotta balcanica. L’incontro con padre Giovanni La Manna, già presidente del Centro Astalli a Roma e direttore di Caritas diocesana di Trieste, ha permesso di conoscere la Chiesa locale e le altre realtà del territorio hanno messo in campo per affrontare questo fenomeno ovvero accoglienza progettuale, assistenza medica, servizi per mangiare e dormire. Infatti, Trieste è luogo di transito, sono circa 7.000 le persone arrivate negli ultimi 6 mesi, in calo rispetto allo scorso anno. Queste persone non vogliono stare in Italia e a Trieste, molti (circa l’80%) si fermano infatti pochi giorni per poter proseguire il loro viaggio in altri paesi europei.

A Trieste si trova il primo approdo in Italia della Rotta balcanica.

L’attenzione si focalizza sul Silos, un edificio in totale abbandono situato accanto la stazione centrale, vicino a Piazza della Libertà, che vede ogni sera operare le associazioni di volontari nella cura di chi riesce a superare i confini dei Paesi balcanici. Infatti, quella piazza rinominata “del mondo” è diventata uno dei simboli di accoglienza di questa città, grazie al servizio dell’associazione “Linea d’ombra” fornisce ogni sera una prima e indispensabile assistenza ai migranti. Tra gli attivisti dell’associazione c’è Lorena Fornasir, la quale ha affermato: “Pratico la cura come gesto politico e sono nella piazza del mondo a curare, con altri volontari, perché la cura parte dal corpo. In questa piazza il primo incontro è con i corpi di dolore, che testimoniano le violenze dei confini. Essi ci restituiscono corpi rotti, fratturati. In questa fase storica incontriamo corpi torturati dalla polizia bulgara e croata che da sempre praticano la tortura in un modo scientifico, spezzando gli arti, spezzando il corpo in modo da rendere questi ragazzi degli invalidi. Prima che ricomincino a tentare un nuovo camminamento per l’Europa devono ristabilirsi sia dai traumi fisici che dai traumi psichici”.

Il viaggio si è concluso entrando all’interno del “Silos”, luogo indecoroso, tremendo, nel quale i migranti si accampano in condizioni drammatiche, tra rifiuti e topi, privi di ogni servizio. Le parole sono limitate per descrivere il luogo, il senso di vergogna per la mancanza di dignità e umanità.

Marco Sprecacè

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Fonte: Sir