Proteste tra morti e arresti. Joseph Kung Za Hmung (giornalista): “Mercoledì scorso la giornata più sanguinosa”
Oltre 60 morti e mille arresti nel giorno che le Nazioni Unite hanno definito il "più sanguinoso" dal colpo di stato avvenuto un mese fa. I manifestanti vengono messi in prigione o portati nei campi di calcio. C’è chi esce dopo una notte ed è trattato bene. Ma ci sono alcuni video che mostrano scene di violenza. A raccontare al Sir cosa sta succedendo in Myanmar in queste ore è Joseph Kung Za Hmung, direttore del giornale cattolico “Gloria News Journal”, mentre su Twitter il cardinale Charles Bo scrive: “La guerra civile si sta trasformando in un campo di sterminio. Nessuno è al sicuro in nessun posto e in nessun momento”
Almeno 62 persone sono state uccise e migliaia i manifestanti arrestati in Myanmar, mercoledì 3 marzo, dall’esercito e dalla polizia in quello che le Nazioni Unite hanno definito il “giorno più sanguinoso” dal colpo di stato avvenuto un mese fa. È Joseph Kung Za Hmung, direttore del giornale cattolico “Gloria News Journal”, a fare per il Sir il punto della situazione. “Le forze di sicurezza del Myanmar hanno aperto il fuoco con proiettili di gomma e veri. Da quando l’esercito ha preso il potere il 1° febbraio, le proteste e le azioni di disobbedienza civile si stanno diffondendo in tutto il Myanmar. I manifestanti chiedono la fine del governo militare e il rilascio immediato dei leader di governo che sono stati eletti democraticamente a novembre – tra cui Aung San Suu Kyi – ma poi arrestati nel colpo di stato”. Tutto il mondo sta seguendo con apprensione la violenta repressione delle proteste. Al termine dell’udienza, mercoledì scorso, anche Papa Francesco aveva rivolto un appello nel quale chiedeva “alle autorità coinvolte” che “il dialogo prevalga sulla violenza e l’armonia sulla discordia” e “la liberazione dei diversi leader politici incarcerati”. Ma la situazione in Myanmar è precipitata. “Abbiamo stimato – racconta Joseph Kung Za Hmung – che il 3 marzo sarebbero stati arrestati più di 1.000 manifestanti. Alcuni sono stati rilasciati dopo essere stati messi una notte in prigione o portati nei campi di calcio. Ci hanno riferito di essere stati trattati bene dalle forze di sicurezza”. Ad altri però non è andata così bene. “Ho visto un video clip – dice il giornalista birmano – che mostrava la polizia mentre picchiava un gruppo disarmato di medici volontari. Un altro mostrava un manifestante colpito da colpi di arma da fuoco e probabilmente ucciso per strada”.
Da Yangon, l’arcivescovo cardinale Charles Bo pronuncia, via twitter, parole disperate postando l’immagine di Angel, la ragazza che diceva: “Andrà tutto bene”, uccisa da un proiettile alla testa.
“Il problema del Myanmar è che la guerra civile si sta trasformando in un campo di sterminio. Nessuno è al sicuro in nessun posto e in nessun momento”. E aggiunge: “Il Myanmar non sarà mai più lo stesso”.
“Le manifestazioni – spiega al Sir il giornalista birmano Joseph Kung Za Hmung – sono animate da giovani in maniera calma e pacifica. Sono conosciuti come la Generazione Z. Un popolo che sta organizzando in tutto il Paese azioni di protesta per chiedere il rilascio di leader politici detenuti come il presidente, Aung San Suu Kyi. Dall’altra parte della barricata, le forze militari e di polizia che stanno attaccando questi blocchi pacifici, sparando sui manifestanti munizioni vere”. Sul motivo dell’uso di una violenza così estrema, il giornalista ha due ipotesi. “La prima si rifa alla legge della Costituzione del 2008 sullo Stato di Emergenza, scritta e approvata dai militari stessi, secondo la quale in Stato di Emergenza, i militari possono sparare a chiunque come desiderano. La seconda è invece legata al fatto che sono centinaia di migliaia i dipendenti civili che aderiscono al movimento di disobbedienza civile (CDM), impedendo di fatto al regime militare di governare. “Per questo le forze militari stanno diventando sempre più violente ma le persone sono sempre più determinate a sradicare questo colpo di Stato”.
Era il novembre del 2017 quando Papa Francesco si recò in Myanmar. Il giornalista ricorda che il capo del golpe militare lo incontrò di notte nella residenza dove alloggiava, e cioè nell’arcivescovado di Yangon. “A quell’incontro, era presente anche il cardinale Charles Bo. In quell’occasione, il Santo Padre ha detto al leader militare di essere responsabile della pace e della democrazia in Myanmar e gli ha affidato questo compito”. I cattolici del Paese sono in prima linea a fianco dei manifestanti. Hanno fatto il giro del mondo le immagini della suore inginocchiata davanti alla polizia antisommossa. Intervistata da Joseph, suor Ann Nu Tawng ha detto: “In realtà, non avevo intenzione di protestare contro il colpo di stato militare”.
“Ma quando davanti a me ho visto che era in atto una violenta repressione delle forze di sicurezza contro persone pacifiche e disarmate. Non potevo rimanere indifferente e ho deciso di proteggere i civili”.
Tutti i vescovi del Myanmar hanno sottoscritto nei giorni scorsi un comunicato per chiedere a tutte le parti e in unione con la più importante organizzazione dei monaci buddisti “Ma Ha Na”, di lavorare per la riconciliazione del paese e risolvere la situazione in modo pacifico. “I cattolici del Myanmar – aggiunge Joseph Kung Za Hmung – vivono nello stesso modo e con la stessa preoccupazione quanto stanno vivendo tutti in Myanmar. Quindi stiamo protestando contro il colpo di stato militare e chiedendo il ripristino del governo democraticamente votato dai nostri concittadini. I religiosi stanno pregando nei loro conventi, alcuni si uniscono ai giovani manifestanti sulla strada; altri forniscono bevande e cibo a chi sta manifestando”.