Migranti, nuovo naufragio: “Abbiamo navigato in mezzo ai cadaveri”
La testimonianza di Alessandro Porro, presidente di Sos Mediterranee, che con la Ocean Viking ha provato a soccorrere tre imbarcazioni in distress. Almeno 130 le vittime: “Assenza totale di coordinamento e intervento delle autorità. Ci siamo coordinati noi, autonomamente, insieme ad altre tre navi commerciali: ma era già troppo tardi”. Reazioni di sdegno dalle associazioni
“Quando siamo arrivati sul posto ci siamo trovati letteralmente a navigare in mezzo ai cadaveri che galleggiavano. Era troppo tardi, l’unica cosa che abbiamo potuto fare è osservare un minuto di silenzio”. A parlare è Alessandro Porro, presidente di Sos Méditerranée Italia, in questi giorni a bordo della nave umanitaria Ocean Viking, che è stata testimone ieri dell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo. Secondo le prime ricostruzioni almeno 130 persone, che viaggiavano su un gommone a nord Est di Tripoli, hanno perso la vita.
L’imbarcazione in distress faceva parte delle tre segnalazioni arrivate nelle ultime 48 ore dal network telefonico civile Alarm Phone. riguardanti gommoni in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia. “Mercoledì ci è arrivata la segnalazione di questi tre casi, tutti distanti tra loro e ad almeno dieci ore di distanza dalla nostra posizione - racconta Porro -. Abbiamo iniziato una corsa contro il tempo per raggiungere il primo target, ma abbiamo perso ogni traccia mercoledì pomeriggio. Abbiamo dunque iniziato a procedere verso il secondo target, la terza barca, da quanto abbiamo appreso, era stata intercettata dai libici e riportata indietro, con a bordo i cadaveri di una donna e di un bambino”. Una volta sul posto i soccorritori di Sos Méditerranée non hanno trovato sopravvissuti, ma almeno dieci corpi nelle vicinanze del relitto. Secondo la segnalazione di sos iniziale però, sul gommone viaggiavano 130 persone.
“C’era mare grosso con onde oltre sei metri, anche io che sono abituato a viaggiare in mare ho passato la notte a vomitare - aggiunge Porro -. Era impensabile che un gommone potesse resistere una notte in quelle condizioni. Ci lascia basiti l’assenza totale di coordinamento e intervento delle autorità. Ci siamo coordinati noi, autonomamente, insieme ad altre tre navi commerciali: una petroliera e due portacontainer, che hanno sacrificato il loro tempo, come doveroso, per una ricerca che compete, invece, agli Stati”. Secondo quanto riportato da Alarm phone, infatti, tutte le autorità competenti erano state allertate, almeno 24 ore prima. I volontari dell’ong hanno anche parlato con le autorità libiche: “Dicono che non usciranno in mare a causa del meteo”. Anche un aereo di Frontex aveva individuato il gommone.
“Sono ormai morti invisibili - conclude Porro -. C’è una generale anestesia, ma mi chiedo: se fosse precipitato un aereo con 120 turisti, cosa sarebbe successo? Quanti giornalisti sarebbero già a scrivere della tragedia? Oggi, invece, di queste morti non importa a nessuno. Per quanto ci riguarda, se non riusiamo a soccorrere vogliamo almeno testimoniare. E’ stato smantellato qualcosa di bello, prezioso e umano, come il salvataggio in mare in nome di una presunta sicurezza. Ora deleghiamo ai libici, che se c’è mare grosso non escono in mare, come se un vigile del fuoco si rifiutasse di intervenire se c’è un incendio. E noi siamo sempre più lasciati soli, senza coordinamento, con un’Europa che non risponde”.
Le reazioni
Tra i primi a denunciare il naufragio, Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim): “Un altro naufragio aumenta il numero dei morti nel Mediterraneo centrale, che stamattina erano già 359 - ha scritto su Twitter -. Con un sistema di pattugliamento chiaramente insufficiente, Ocean Viking e tre mercantili erano soli nelle operazioni di ricerca e soccorso. Una situazione inaccettabile”. Sulla stessa scia anche Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr: “Quando sarà abbastanza? Quante speranze, quante paure, destinate a schiantarsi contro l’indifferenza.
Padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli, si dice sgomento “davanti all’orrore e all’indifferenza dei governi nazionali e dell’Unione Europea. Ci si ostina a definire politiche migratorie, quelli che sono accordi stipulati con governi antidemocratici, spendendo capitali che potrebbero essere utilizzati per gestire le migrazioni in maniera sicura, legale e a beneficio di tutta la comunità - sottolinea - Non possiamo tollerare che vite perse in mare non suscitino reazioni e risposte umanitarie. La politica democratica e le istituzioni che la decidono hanno come compito principale garantire una vita degna e libera a ogni essere umano sulla terra”. La comunità di Sant’Egidio lancia un appello alle autorità che avrebbero potuto provare a soccorrere il battello di fortuna andato alla deriva, a fronte di segnalazioni già arrivate nella giornata di mercoledì, perché vengano garantiti i salvataggi in mare di chi è in pericolo di vita. “È urgente rispondere al più presto alla domanda di aiuto proveniente dai migranti in transito verso l’Europa, in particolare di quelli attualmente in Libia, con progetti a lungo respiro che puntino a svuotare i luoghi di detenzione, a esaminare le situazioni delle singole persone e a consentire vie di salvezza legali come i corridoi umanitari - scrive in una nota -. Al tempo stesso occorre costruire un futuro vivibile nei paesi di origine, soprattutto per i giovani, con il sostegno dell’Unione europea”.
“Essere salvati dall’annegare è un diritto non negoziabile - sottolinea Gherardo Colombo, presidente di ResQ -. Indipendentemente da quel che succede prima del mare, indipendentemente da quel che succede dopo il soccorso. Soccorrere è un obbligo giuridico oltre che morale. Chi rischia di annegare va salvato, Non sono ammissibili alternative”.