Migranti, il Garante in Parlamento: “Preoccupato per nuovo Patto Ue”

Ultima relazione da Garante per Mauro Palma, dopo 7 anni. Critiche ai Cpr, solo la metà delle persone trattenute vengono rimpatriate. “La privazione della libertà, bene definito inviolabile dalla nostra Carta, deve attuarsi solo nella prospettiva di una chiara finalità”

Migranti, il Garante in Parlamento: “Preoccupato per nuovo Patto Ue”

L’estensione generalizzata del trattenimento in frontiera in luoghi connotati da formale extraterritorialità e la possibilità di trasferimento forzato delle persone migranti verso Paesi terzi di transito, considerati sicuri, anche se non vincolati dall’adesione alla Convenzione di Ginevra, destano “preoccupazione”. Lo sottolinea nella sua relazione al Parlamento il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma. Il riferimento è all’accordo per il nuovo Patto su migrazione e asilo, raggiunto dal Consiglio europeo nel vertice di Lussemburgo l’8 giugno scorso. Il Garante si dice comunque “certo che di tali impegni verranno trovate formulazione e attuazione pienamente in linea con il nostro ordinamento costituzionale e distanti dalla tentazione di esternalizzazione delle nostre responsabilità di controllo e tutela”.

Al tema del trattenimento dei migranti, Palma dedica una lunga riflessione nella sua relazione, l’ultima da Garante, dopo sette anni. In particolare, non risparmiando critiche al sistema di detenzione amministrativa rappresentato dai Centri per il rimpatrio (Cpr). “La costruzione di conoscenze e l’espressione della cultura di cui ogni soggetto è in qualche modo portatore sono aree di strutturazione del sé individuale. Esse convergono verso l’obiettivo comune di ridare significato al tempo della detenzione, liberandolo dalla connotazione di tempo sottratto alla vita o di tempo di attesa, per farne occasione per l’acquisizione, quantunque limitata, di qualche elemento positivo per la propria soggettività e per l’avvio di un percorso di reinserimento sociale - afferma -. Proprio quest’ultima affermazione non può applicarsi al tempo recluso dei migranti, in attesa del compimento del proprio fallimento. Perché il tempo della loro privazione della libertà nei Centri di permanenza per il rimpatrio è inequivocabilmente vuoto e trascorre in spazi anch’essi vuoti. Una duplicità di assenza che si unisce a quella sensazione di essere giunti al termine negativo del proprio progetto – qualunque esso fosse – e di doversi misurare così con il terzo vuoto: quello interiore”.

Stando ai dati contenuti nella relazione nel 2022 sono state 6383 le persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio. Di queste soltanto 3154 sono state effettivamente rimpatriate: in Tunisia (2248), Albania (127), Egitto (318), Marocco (92). In tutto ad oggi i Cpr attivi sono 9: Bari-Palese, Brindisi-Restinco, Caltanissetta-Pian del Lago, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Palazzo San Gervasio, Roma-Ponte Galeria, Trapani-Milo, Milano (il Cpr di Torino è stato chiuso a marzo 2023). “Quello che qui conta – nel contesto dell’assoluto principio che la privazione della libertà, bene definito inviolabile dalla nostra Carta, possa attuarsi solo nella prospettiva di una chiara finalità, legalmente prevista e sotto riserva di giurisdizione – è che circa la metà delle persone trattenute – esattamente il 50,6 percento – ha avuto un periodo di trattenimento detentivo senza il perseguimento dello scopo per cui esso era legalmente previsto. Spesso senza che tale scopo fosse già ipotizzabile al momento dell’inizio del trattenimento stesso - sottolinea Palma -.  Si è trattato, quindi, di una sottrazione di tempo vitale non giustificata di fatto dalla finalità che il primo comma dell’articolo 5 della Convenzione europea per i diritti umani assume come previsione per la privazione della libertà e che la stessa Direttiva europea sui rimpatri del 2008 ritiene non accettabile perché non caratterizzata da una credibile possibilità di attuare il rimpatrio. Del resto, il dato si è dimostrato non correlato alla possibile durata del trattenimento nei Cpr, perché pur in periodi diversi in cui essa è oscillata considerevolmente, la percentuale di rimpatri non ha mai raggiunto il 60 percento delle persone ristrette anche per lungo tempo in tali strutture”. 

Secondo quanto previsto dal decreto 20/2023, il cosiddetto “decreto Cutro” il numero dei Centri per il rimpatrio dovrebbe essere ampliato nella previsione di avere una struttura in ogni regione. Pur non volendo entrare nelle scelte politiche, il Garante ha ricordato “tre tutele fondamentali che devono essere assicurate alle persone ristrette in strutture di questo tipo,  siano esse i Cpr, gli hotspot, i cosiddetti “locali idonei” da utilizzare come una sorta di Cpr d’appoggio presso le Questure”. La tutela giurisdizionale, la tutela della salute e la terza che riguarda “la connessione relazionale che è proprietà di ogni persona e che determina la trasparenza dell’azione di trattenimento". Qui il diritto alla tutela è duplice: riguarda la persona ristretta che non può essere isolata da ogni contesto in virtù di una irregolarità amministrativa e che troppo spesso non è neppure informata circa il possibile esito della propria situazione neppure nei casi in cui il suo rimpatrio forzato sia sul punto di attuazione. Ma riguarda anche la collettività che ha diritto di porre il proprio sguardo all’interno di tali luoghi, che sono invece chiusi alla possibilità di interazione con il volontariato, con le forme aggregate del territorio, con gli organi d’informazione”. 

A questo proposito Palma parla di luoghi emblematici del vuoto, sia spaziale che temporale. “Spazi spesso pensati solo per contenere, senza alcuna attività, né relazioni interne significative, in uno scorrere del tempo caratterizzato dall’indeterminatezza dell’esito del suo svolgersi. Una realtà in cui alberga fortemente la rabbia, il fallimento, il desiderio di distruzione e di autodistruzione” afferma. “Il rischio è che la privazione della libertà dei migranti irregolari tenda a legittimarsi più come misura rassicurante della collettività che non come tassello efficace per una strategia che, come più volte condivisibilmente affermato anche in tempi recenti, riesca a ridurre le situazioni di irregolarità di presenza nel territorio nazionale e i rischi conseguenti anche sul piano delle possibili connessioni criminali”. Per quanto riguarda le altre strutture dalla relazione emerge che nel 2022 sono transitate negli hotspot 55.135 persone (di cui 5278 donne e 10491 minori). I giorni medi di permanenza delle persone adulte vanno dai 5 di Lampedusa, Pozzallo e Taranto ai 23 di Messina. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)