La protesta delle lenzuola. L'espulsione di una ragazzina scatena un'insolita forma di protesta
Il lenzuolo-manifesto delle monache diventa virale in tutta l'Austria.
Nel cuore della notte di giovedì 28 gennaio un convoglio di auto della polizia austriaca lascia il Centro per l’espulsione che si trova in Zinnergasse, nel quartiere di Simmering, a Vienna. A bordo di uno di quei van c’è Tina.
Tina è nata 12 anni fa a Vienna. Nella capitale austriaca è cresciuta, ha frequentato le scuole e, da ultimo, anche il Bundesrealgymnasium della Bundesbastei. Tina parla correttamente il tedesco e in Austria è perfettamente integrata. Ma per il governo austriaco, la giovane si è macchiata di una colpa gravissima, tanto grave da essere espulsa dal Paese: Tina è un’“immigrata clandestina”.
La mamma di Tina è georgiana. È arrivata per la prima volta in Austria 14 anni fa. A Vienna la donna sperava di trovare lavoro, di costruirsi una famiglia e di dare ai propri figli una vita migliore di quella che aveva vissuto lei. In questi anni la donna ha presentato diverse richieste di asilo, tutte puntualmente respinte dal Tribunale Amministrativo Federale. Per la legge austriaca, quindi, pur essendo nata e cresciuta in Austria, Tina è di fatto una “clandestina”, al pari di sua madre e della sorellina di 4 anni, e per questo deve essere rimpatriata in Georgia. Per questa ragione, lunedì 25 gennaio la polizia ha prelevato da casa lei e i suoi familiari e li ha rinchiusi nel Centro per l’espulsione.
Nella Zinnergasse, per chiedere la sospensione della procedura di rimpatrio di Tina, sono arrivati i compagni di classe della ragazza, che hanno avviato anche una raccolta di firme che nel giro di poche ore ha raccolto oltre 12mila adesioni. Nella notte tra il 27 e il 28 gennaio circa 160 persone – e tra loro anche diversi politici e attivisti per i diritti umani – si sono date appuntamento nella Zinnergasse per evitare il rimpatrio di Tina e della sua famiglia. Uno sforzo risultato vano. Alle 4 del mattino il blocco è stato rimosso dalla polizia e il convoglio di auto ha lasciato il Centro alla volta dell’aeroporto.
Quella notte, con le rispettive famiglie, sono state rimpatriate anche Ashot e Sona, altre due ragazze nate in Austria, ma considerate – al pari di Tina – “clandestine”, e per questo rimandate in Armenia.
Contro l’espulsione delle tre giovani è sceso in campo, con un videomessaggio anche Alexander Van der Bellen. “Non posso e non voglio credere – ha detto il presidente austriaco – che viviamo in un Paese dove questo è davvero necessario”. Pur non avendo una giurisdizione formale sulla questione, Van der Bellen ha indicato quella che è la sua posizione: “Dobbiamo trovare un modo di interazione umano e rispettoso. Soprattutto quando le principali vittime sono i bambini. Diamo la priorità al benessere dei bambini, dei ragazzi e dei giovani”.
Le immagini di Tina che viene rimpatriata con la sua famiglia nel cuore della notte dalla polizia austriaca arrivano anche nel convento delle suore Terziarie di s. Francesco a Hall, in Tirolo.
“Non possiamo starcene più qui a guardare senza fare nulla”, si dicono le suore. Ma cosa possono protestare delle suore contro l’interpretazione miope delle leggi, come possono manifestare contro l’ingiusta deportazione di bambini e ragazzi nati e cresciuti in Austria?
Ad offrire loro l’ispirazione è proprio il presidente Van der Bellen. Si organizzano e si distribuiscono i compiti. E iniziano a lavorare. Chi prepara il lenzuolo, chi si prende cura di scrivere il testo. Ogni lettera trova il suo posto sulla stoffa, con meticolosa cura e precisione. Non una sbavatura, non una linea storta.
“Ich kann und will nicht glauben… Non posso e non voglio credere che viviamo in un Paese dove questo è davvero necessario”. Le parole di Van der Bellen campeggiano ora sul lenzuolo, che le suore assicurano alle finestre del convento, che si affaccia su una delle più trafficate strade di Hall.
L’iniziativa non passa inosservata. Neppure sui social. Dopo averla pubblicata sul sito delle Terziarie austriache, sr. Notburga Maringele posta la foto del lenzuolo-manifesto sulla sua pagina Fb. Nel giro di un giorno la foto viene condivisa su Fb oltre mille volte (oltre 1.500 i cinguettii su Twitter), raccogliendo quasi diecimila tra like e commenti.
La protesta delle lenzuola inizia a diffondersi a macchia d’olio in tutta l’Austria. La frase di Van der Bellen viene affissa sulle mura di conventi ed istituzioni ecclesiastiche. Oltre 33 tra ordini femminili e maschili in tutta l’Austria aderiscono alla campagna, così come altre istituzioni religiose come il “Don Bosco Sozialwerk” o la “Casa Card. König” di Vienna, la Conferenza austriaca degli ordini religiosi, la Conferenza regionale tirolese degli ordini religiosi e, a Salisburgo, la Comunità universitaria cattolica, l’Istituto afro-asiatico e la Gioventù universitaria cattolica. E, non da ultime, scendono in campo anche le parrocchie di Vienna.
“La politica deve seguire la legge, ma allo stesso tempo si devono sfruttare tutte le possibilità per interpretare e applicare la legge con umanità, preoccupandosi di difendere e proteggere i bambini, i ragazzi e tutti coloro la cui vita è sottoposta a minacce”, si legge in un comunicato della Conferenza tirolese degli ordini religiosi, che appoggia e sostiene anche la richiesta del vescovo di Innsbruck, mons. Hermann Glettler: accogliere in Austria, con provvedimento umanitario immediato, le famiglie che hanno ottenuto il nulla osta alla loro domanda d’asilo e che sono ancora bloccate nei campi profughi di Lesbo e delle altre isole greche.
L’applicazione letterale della legge, senza considerare le esigenze umanitarie di ogni singolo individuo può generare ingiustizie, hanno sottolineato i presidenti della Conferenza sr. Pauline Thorer e l’abate Raimund Schreier.
“Sogno che il governo ammetta di aver superato il limite e di aver pensato troppo poco al benessere di bambini e ragazzi – ha detto sr. Notburga Maringele in un’intervista pubblicata sulla “Tiroler Tageszeitung” -. È terribile il modo in cui è avvenuta la deportazione di Tina e delle altre due giovani: di notte e con l’impiego dei cani. Occorre fare in modo che questo tipo di cose non possano più accadere con tanta facilità. Invece dell’indifferenza e della durezza, è necessario l’atteggiamento fondamentale della fraternità. Se siamo fratelli di tutte le creature, allora la sorte dei bambini deportati, così come quella dei tanti bambini nei campi profughi, riguarda anche noi”.