Haiti, ora il terrore sono i sequestri-lampo. Il popolo soffre, tra gang violente e incertezza politica
Ad Haiti la situazione peggiora di giorno in giorno, in un clima di insicurezza, violenza e incertezza politica, con il rischio di una deriva autoritaria. A parlare dalla capitale Port-au Prince è Clara Zampaglione, operatrice di Caritas italiana ad Haiti
Sequestri lampo a scopo di estorsione in aumento del 200% rispetto all’anno precedente. Almeno 76 gang criminali e un gruppo paramilitare di incerta provenienza che spadroneggiano nei quartieri off limits e non solo. Oltre 500.000 armi illegali in circolazione, tanta violenza, insicurezza e miseria, assenza di servizi sociali, sanitari ed educativi. Una situazione politica instabile che rischia di virare verso l’autoritarismo e la dittatura: il presidente Jovenel Moïse da un anno non vuole lasciare l’incarico e governa per decreto, in assenza di un parlamento. Per il 25 aprile ha indetto un referendum, ritenuto costituzionalmente illegittimo, che può conferirgli maggiori poteri. La popolazione manifesta in continuazione e si creano blocchi stradali.
Un mix esplosivo che sta trasformando Haiti in una bomba ad orologeria.
Lo sa anche Papa Francesco, che durante la benedizione pasquale Urbi e orbi ha rivolto un pensiero speciale al popolo haitiano: “Vi sono vicino” e “vorrei che i problemi si risolvessero definitivamente per voi”. La popolazione è terrorizzata ed ha paura di uscire di casa. Anche i pochi cooperanti rimasti, tra cui Caritas italiana, che da anni accompagna la Caritas e le diocesi e parrocchie locali, vivono chiusi nei compound delle zone residenziali, protetti da guardie di sicurezza. Ma faticano a svolgere il proprio lavoro. Non possono uscire liberamente per fare la spesa o una passeggiata, né andare a visitare i progetti di sviluppo in altre zone dell’isola. “La situazione è peggiorata rispetto ad un anno fa – racconta al Sir da Port-au-Prince Clara Zampaglione, operatrice di Caritas italiana ad Haiti da due anni -.
C’è un sentimento di insicurezza e paura interiorizzato dalla società. Le persone sono costrette a rivedere quotidianità e spostamenti”.
Stato d’emergenza. Per cercare di contrastare la violenza il 18 marzo il presidente Moïse ha imposto lo stato di emergenza in quattro aree periferiche della capitale governate dalle gang. Un provvedimento che però limita diritti fondamentali dei cittadini e conferisce poteri eccezionali all’esecutivo e alle forze dell’ordine. “Haiti è un Paese molto fragile in cui i diritti e le libertà non vengono rispettati”, spiega Zampaglione, 37 anni, originaria di Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria: “La situazione è molto tesa”.
Episodi violenti. La miccia che ha fatto scattare lo stato d’emergenza sono stati gli scontri nella pericolosa baraccopoli di Village de Dieu, con l’uccisione di 4 poliziotti che erano andati a cercare di liberare alcune persone sequestrate. L’episodio ha creato malcontento tra le forze di polizia e stava degenerando in una incontrollata presa di potere. Negli ultimi tempi è anche apparso un gruppo paramilitare che si fa chiamare “Fantome 509”, composto da ex poliziotti e poliziotti, “ma non è ancora chiaro chi è il buono e chi è il cattivo. Viaggiano in gruppo su moto potenti, a volto coperto e armati, e ogni tanto fanno irruzione nei quartieri”.
La paura dei sequestri. In questo periodo il timore più grande, per tutti gli haitiani, sono i sequestri-lampo: “Solo ieri sono stati 21 – dice la cooperante – sono cifre elevatissime. È il business delle gang per finanziarsi e comprare armi. Sono giovani, si muovono a viso scoperto, a portata di telecamere. Hanno fatto irruzione perfino durante una celebrazione avventista, sequestrando il pastore e altri tre membri. Il giorno dopo sono stati liberati, dopo il pagamento del riscatto.
Oramai i sequestri avvengono ovunque, tutti sono possibili target e a qualunque ora.
Le persone vengono prelevate in banca, al supermercato, in strada”. Le gang si stanno strutturando e connettendo tra loro, c’è una gerarchia e una struttura ben definita.
Anche i cooperanti ovviamente sono molto preoccupati. “Sono già stata assaltata con le armi da alcuni ragazzi che hanno visto l’opportunità e l’hanno sfruttata – racconta -. Ma ho imparato ad essere resiliente”. Prima di muoversi consultano i messaggi in tempo reale nei gruppi di sicurezza che li informano sulle zone calde e i rischi di manifestazioni. Finora non ci sono stati casi di sequestri di stranieri, probabilmente perché temono l’attenzione internazionale. Inoltre sanno che con gli haitiani è più facile fare cassa, perché non denunciano alla polizia ma si attivano immediatamente per cercare soldi nella famiglia allargata. Gli ostaggi vengono nascosti nei quartieri dove è scattato lo stato d’emergenza. Le cifre dei riscatti, stabilite a seguito di contrattazioni, si aggirano intorno ai 5/10.000 dollari. Le gang colpiscono anche famiglie non ricche: dopo una disgrazia del genere sono costrette ad indebitarsi a vita. Se i sequestrati fanno resistenza vengono uccisi o subiscono violenza. “E’ stato rapito anche un familiare del mio autista – racconta Zampaglione -. Ha tentato di scappare ed è stato ferito ad una gamba”.
Sul fronte politico si parla dell’ipotetico referendum del 25 aprile che potrebbe accrescere i poteri del presidente Moïse: è molto contestato dai giuristi perché la Costituzione del 1987 non permette una modifica per referendum. Anche la Chiesa haitiana, nelle sue diverse espressioni, è critica da tempo. “C’è una chiara volontà autoritaria – commenta Zampaglione – perché non si parla di elezioni legislative o amministrative, che già dovrebbero essere state indette.
La situazione è preoccupante. Se passa il referendum la svolta sarà la dittatura”.
L’operatrice Caritas dice di essersi “piacevolmente stupita che il Papa ne abbia parlato. Haiti era stata completamente dimenticata dopo il terremoto e il colera, ed è oramai considerata un caso perso. Molte Ong sono andate via e non arrivano i fondi necessari. E’ positivo che ci sia di nuovo l’interesse della comunità internazionale”.