Guerra e Russia viste dalla Lettonia. “Con Mosca non c’è dialogo”. La Nato dà sicurezza
Parla Velta Skolmeistere, ricercatrice all’Università della Lettonia. Che mette in guardia dal pericolo proveniente dal Cremlino mentre ricorda il difficile passato con l'Unione sovietica. "Noi siamo preparati per la difesa civile". Ma affiorano timori per i confini nazionali, che potrebbero essere minacciati dall'imperialismo di Putin. Nel Paese, un terzo dei cittadini è russofono e non mancano sostenitori dell'attacco russo all'Ucraina
La vita continua a scorrere quasi normalmente a Riga, capitale della Lettonia, ma i 217 chilometri di confine che la separano dalla Federazione russa e soprattutto il ricordo dei decenni di occupazione sovietica sono elementi che dal 24 febbraio alimentano timori. A dare invece fiducia il fatto che, a differenza dell’Ucraina, la Lettonia è parte della Nato, spiega al Sir Velta Skolmeistere, ricercatrice all’Università della Lettonia (communication e media studies). Si sta concludendo in Parlamento l’iter della nuova legge secondo cui i monumenti che “esaltano il regime sovietico” siano smantellati (ad eccezione di quelli tombali), ma i comuni possono già iniziare a organizzarne la rimozione. Il governo intanto ha presentato una legge per abolire l’insegnamento delle lingue delle minoranze nelle scuole pubbliche, in modo che tutti gli studenti padroneggino allo stesso modo la lingua nazionale, lasciando lo studio della lingua e della storia delle minoranze ad attività extracurricolari. Su due milioni di abitanti del Paese, circa il 37% è russofona.
La Lettonia è uno dei Paesi con un lungo confine con la Russia: come è cambiata la percezione di questo confine dopo il 24 febbraio?
Una delle cose di cui si parla molto sia in ambito politico che sociale è che la Lettonia, come gli altri Stati baltici, nelle riunioni internazionali da tempo segnalava che c’è una minaccia a questo confine. La sensazione prima era che nessuno prendesse sul serio questa minaccia. Ora questo è cambiato. Per altro verso, qui le persone stanno apprezzando di più il fatto di essere parte di una alleanza internazionale e c’è più fiducia nel fatto che la nostra situazione, grazie alla Nato, è diversa rispetto all’Ucraina.
E nella quotidianità, qualcosa è cambiato?
Vediamo più esercitazioni delle truppe della Nato, vediamo aerei da guerra solcare i nostri cieli e leggiamo notizie che ce ne spiegano le ragioni. Come prima, siamo preparati a quella che viene chiamata la “difesa civile”, cioè a essere pronti in 72 ore a qualsiasi evenienza. Ma è una questione indipendente a un possibile attacco.
L’esperienza più significativa e visibile è certamente quella dell’accoglienza dei rifugiati.
Poi certo succede, ad esempio nelle università, che i gemellaggi con le università statali della Russia sono stati interrotti; in enti pubblici, i russi, che sedevano nei consigli di amministrazione per conto di enti ufficiali russi, sono stati sostituiti. Tutti cercano di avere meno relazioni possibili con la Russia.
Che cosa è la “difesa civile”?
Nelle università c’è un corso che spiega a come prepararsi alle emergenze, ci sono campagne di informazione e tanto materiale sui social che indica che cosa devi avere a portata di mano, che cosa portarsi dietro nelle prime 72 ore. Abbiamo visto con l’esperienza dell’Ucraina che i primi tre giorni sono quelli cruciali. Dopo di che arrivano aiuti, le cose si organizzano.
In Lettonia c’è una grande minoranza di lingua russa: da che parte stanno, con l’Ucraina o con la Russia?
Ce ne sono da entrambe le parti. Ci sono persone di lingua russa che però non sono di origine russa. È difficile tirare delle righe nette. Dopo questo conflitto c’è un grande gruppo di persone di origini russe che si schierano contro la guerra, cercano di farsi sentire e chiedono di non essere trattati come nemici: non si possono cambiare le proprie origini. Poi ci sono persone che sostengono le posizioni della Russia, e questo è il risultato della propaganda, della loro educazione, del contesto famigliare. Ma è una minoranza nella minoranza. Ci sono state alcune tensioni con l’arrivo degli ucraini, si temevano tensioni in relazione alla festa del 9 maggio, ma le forze dell’ordine hanno chiuso i monumenti e non ci sono stati grossi incidenti, se non qualche disordine nei giorni successivi.
Ci sono due partiti politici in qualche modo legati alla Russia e si sono comportati in maniera opposta:
il più grande, il Partito socialdemocratico dell’Armonia (Sdp “Saskaņa”), ha preso le distanze dalla Russia, il più piccolo, l’Unione russa di Lettonia (Latvijas Krievu savienība), anche se non esplicitamente sostiene la Russia.
Come funziona l’informazione?
C’è una televisione nazionale lettone che offre dei contenuti in russo, così come c’è un’emittente radiofonica lettone, che trasmette in russo. Poi ci sono televisioni internazionali commerciali russe e quando la guerra è iniziata, i canali considerati una minaccia per la loro azione di propaganda sono stati bloccati. Se ne discuteva da anni, con molte divergenze di vedute. In questa circostanza c’è stato un maggiore consenso per bloccarli. Ovviamente è un po’ tardi, perché l’influenza sulla mentalità delle persone è stata fatta in passato. Ma per lo meno, ora la propaganda è stata fermata.
Ci sono state delle tensioni in merito allo smantellamento di un monumento sovietico: ne arriveranno altre con la legge che rende obbligatorio lo smantellamento di tutti i monumenti sovietici nel Paese?
La questione riguarda i monumenti che esaltano il regime sovietico. Le tensioni ci sono state per un monumento particolare a Riga, il Monumento ai liberatori della Lettonia sovietica e di Riga dagli invasori fascisti tedeschi, dove tanti depongono fiori il 9 maggio. Ora il consiglio comunale di Riga ha deciso che il monumento sia smantellato entro novembre.
Quale posizione e quali messaggi esprimono le comunità religiose nel Paese riguardo alla guerra in Ucraina e alle minacce che incombono sulla Lettonia?
Penso che le Chiese non stiano comunicando troppo a riguardo. Però ci sono preghiere per la pace, messaggi che invitano a non odiare e, soprattutto, un grande lavoro di accoglienza per i rifugiati.
E come percepite il ruolo che l’Unione europea sta giocando in queste settimane?
Sicuramente l’approccio dei lettoni è dalla parte di sanzioni più dure e di un più netto boicottaggio del petrolio e del gas. E vedere che Paesi più grandi, come l’Ungheria, hanno votato contro il boicottaggio, crea un po’ di risentimento. I Paesi baltici e altri Paesi confinanti con la Russia stanno cercando di far capire che non ci sono tante possibilità di dialogo e che bisogna prendere sul serio quello che sta avvenendo.
I lettoni sono pronti a sacrificare il loro comfort, a vedere i prezzi salire?
È dall’inizio dell’anno che il prezzo dell’elettricità sale e ora anche il gas. Certo ci sono preoccupazioni perché per qualcuno sarà molto difficile dal punto di vista economico. Ma l’impressione è che se siamo tutti insieme, uniti, potrà servire.
Se la situazione peggiora per noi, ma altri Paesi continuano a importare gas, allora ciò genera scoraggiamento, perché il sacrificio non produrrà risultati.
Se però lo sforzo riesce ad avere un impatto sull’economia russa, le persone sono più disposte a rinunciare al proprio comfort. Dal nostro passato sappiamo che cosa può succedere e che non ci sono “vie gentili” per avere la sicurezza. Certo le conseguenze saranno e sono già pesanti, perché i salari non salgono alla stessa velocità dei prezzi. Solo tra qualche mese i dati ce lo confermeranno, ma la percezione è che le difficoltà stiano crescendo.