Europa e Regioni: settimana cruciale per il governo
Al di là degli equilibri politico-istituzionali, importantissimi, c'è una questione ancora più profonda: riguarda la tenuta unitaria di un Paese che, pur colpito dal contagio in misura estremamente differenziata, ha reagito in modo coeso e reciprocamente responsabile. La solidarietà non guarda i confini amministrativi. Nessuno si può salvare da solo: se lo dicessero anche i presidenti delle Regioni sarebbe un bel regalo a questa Italia martoriata e un buon viatico per una ripartenza che richiederà il contributo di tutti
L’attesa è tutta concentrata sulle decisioni politiche per il dopo 3 aprile, anche se per quanto riguarda l’ambito produttivo la fatidica fase 2 è già stata anticipata in non poche situazioni e a breve sono prevedibili nuove e più ampie deroghe. Il Governo ha davanti una settimana di scadenze istituzionali estremamente impegnative. L’appuntamento cruciale è senza dubbio quello con il Consiglio europeo in programma giovedì 23 aprile. Ma si comincia già lunedì con il Consiglio dei ministri, in attesa di convocazione, mentre nel pomeriggio del giorno successivo il premier Conte riferirà sulla situazione prima al Senato e poi alla Camera. Mercoledì sarà l’Aula di Palazzo Madama a dover votare l’autorizzazione allo scostamento di bilancio, un passaggio necessario a norma di Costituzione per poter finanziare le nuove misure in arrivo che richiederanno inevitabilmente altro debito pubblico. Non basta la maggioranza semplice dei votanti, occorre la maggioranza assoluta dei senatori. Anche alla Camera, dove il voto sul maggior deficit dovrebbe arrivare venerdì (se il calendario sarà confermato), sarà necessaria la maggioranza assoluta dei deputati, ma a Montecitorio i numeri dei partiti di governo sono piuttosto ampi. Al Senato non è così e le difficoltà pratiche determinate dalle misure anti-contagio rendono ancora più problematico il passaggio. Lo scorso 11 marzo, quando fu autorizzato lo scostamento di bilancio per i primi interventi contro le conseguenze della pandemia, nei due rami del Parlamento il voto fu unanime. Del resto non si tratta di approvare nel merito le specifiche scelte del Governo, quanto di consentire l’impiego di più risorse pubbliche nella lotta al coronavirus. Quel voto di marzo venne salutato come un apprezzabile esempio di spirito unitario di fronte all’emergenza nazionale, ma purtroppo non ha avuto seguito e stavolta, in un clima politico molto teso, non è ancora chiaro quale sarà il comportamento delle opposizioni. A completare il calendario parlamentare della prossima settimana va registrato, tra mercoledì e giovedì, il voto di fiducia alla Camera sul decreto Cura Italia.
I nodi politici principali sul tappeto restano il rapporto con l’Europa e i rapporti tra lo Stato e le Regioni.
La trattativa che vedrà impegnato giovedì il nostro presidente del Consiglio con gli altri capi di Stato e di Governo europei ha un valore enorme per il futuro del nostro Paese. E non solo del nostro, per la verità. La crisi planetaria innescata dalla pandemia è di tale portata da rendere incomprensibili (se non in chiave di propaganda interna) gli egoismi nazionali e i sovranismi populisti che sembrano contrapporsi e invece convergono nell’ostacolare una risposta solidale da parte dell’Europa, l’unica che sarebbe all’altezza della sfida. Certamente non giova alla posizione dell’Italia la polemica tutta ideologica che si è sviluppata intorno al Mes, il fondo salva Stati di cui il nostro Paese è il terzo maggior contributore e che potrebbe utilmente concorrere a finanziare la ripresa insieme ad altre più sostanziali e innovative misure. Ma invece di insistere pragmaticamente sul vero punto-chiave che sono le condizioni e i tempi di restituzione dei fondi eventualmente prestati contro la pandemia (all’Italia toccherebbero circa 36 miliardi) si è scatenata una campagna dai toni scandalistici e strumentali. La guerra ideologica al Mes, in realtà, è il modo in cui si manifesta e si alimenta quell’anti-europeismo che purtroppo, anche per la miopia di alcuni Stati della Ue, si sta facendo strada nell’opinione pubblica italiana. Che il rapporto con l’Europa sia una questione decisiva sul piano politico lo dimostra anche il fatto che lo scontro sul Mes abbia avuto la forza di scompaginare gli schieramenti, con Forza Italia favorevole e il M5S contrario come Lega e FdI. Conte ha preso tempo, rinviando il confronto parlamentare a dopo il Consiglio europeo, quando si saprà di che cosa stiamo concretamente parlando e si potrà valutare l’insieme del pacchetto di strumenti messi in campo.
La confusione e le contraddizioni del dibattito interno hanno trovato riscontro anche a livello di Parlamento europeo: nella risoluzione sulla risposta all’emergenza sanitaria, un emendamento dei Verdi a sostegno della logica dei “coronabond”, vale a dire la principale proposta italiana, non è passato anche per il voto contrario degli eurodeputati di Lega e Forza Italia, mentre FdI ha votato a favore.
Sull’altro nodo fondamentale, quello delle Regioni, c’è da sperare con l’ottimismo della volontà che qualche risultato si ottenga nella riunione della “cabina di regia” prevista per il fine settimana. Per il governo ci saranno i ministri della Salute e degli Affari regionali, Speranza e Boccia. Per le Regioni, Fontana della Lombardia, Bonaccini dell’Emilia Romagna (nonché presidente della Conferenza delle Regioni) e Musumeci della Sicilia. Per gli enti locali ci saranno il presidente dell’Anci Decaro (sindaco di Bari), il suo vice Pella (sindaco di Valdengo, nel biellese) e Michele De Pascale, presidente dell’Unione delle Province. Il metodo, quello di sedersi (virtualmente) intorno a un tavolo, sarebbe quello giusto, ma se dietro il continuo controcanto di alcune Regioni alle decisioni del Governo ci sono intenti strumentali sul piano politico nazionale, c’è poco da fare. Il Governo avrebbe anche strumenti costituzionali per intervenire e sarebbe legittimato a usarli soprattutto in un’emergenza come quella che stiamo vivendo. Ma si tratta di strumenti che rischierebbero di aprire un contenzioso devastante in un momento del genere e la linea di prudenza praticata finora appare saggia. Al di là degli equilibri politico-istituzionali, importantissimi, c’è una questione ancora più profonda: riguarda la tenuta unitaria di un Paese che, pur colpito dal contagio in misura estremamente differenziata, ha reagito in modo coeso e reciprocamente responsabile. La solidarietà non guarda i confini amministrativi. Nessuno si può salvare da solo: se lo dicessero anche i presidenti delle Regioni sarebbe un bel regalo a questa Italia martoriata e un buon viatico per una ripartenza che richiederà il contributo di tutti.