Avvertimenti da seguire. Le magagne individuate dal rapporto Draghi letto al Parlamento europeo
Ci siamo ridotti ad essere un grande mercato di consumo per beni che arrivano da fuori e che non vogliamo né possiamo più produrre
Cassandra, chi era costei? Una che vedeva per prima i lupi arrivare; avvisava i suoi che non le davano retta. Mal incolse a tutti. Speriamo non finisca così pure per Mario Draghi e l’Unione Europea, anche se – delle 170 misure proposte dall’economista italiano per conto di Ursula Von der Leyen – poche verranno prese in considerazione. Gli Stati europei vogliono risolvere le loro gigantesche magagne da soli, ovviamente non riuscendoci.
Ma è appunto sulle magagne individuate dal rapporto Draghi letto al Parlamento europeo, che vorremo soffermarci. Perché l’analisi è lucida e spietata. Parla di un’Unione Europea che, con Usa e Cina, tiene in piedi il mondo: solo che lo fa sempre più debolmente.
L’aggressione russa ha rivelato che non abbiamo uno straccio di difesa europea e ci dobbiamo affidare completamente all’ombrello della Nato, quindi americano. Al netto della deterrenza nucleare, se i russi ci invadessero arriverebbero a Berlino prima dell’aperitivo serale.
Non abbiamo risorse comuni per adempiere ai doveri di veri Stati Uniti d’Europa, perché non c’è una fiscalità condivisa. Abbiamo fatto traslocare le nostre fabbriche fuori confine per sfruttare il minor costo del lavoro, e così ora basta un inghippo tra navi nel Canale di Suez per mandarci tutti in tilt per un anno. Non abbiamo investito un granché nelle industrie del futuro (energetiche, comunicazioni, microchip…) e ormai siamo completamente dipendenti da tutti, su tutto. Viviamo di rendite (turismo, finanza) e invecchiamo come non ci fosse un futuro.
Già, pure Draghi sottolinea che un’Europa che non fa figli, non ha futuro. Ci interessa solo il presente e una vecchiaia dorata fatta di pensioni e prestazioni sanitarie. Ma poi?
Ci siamo ridotti ad essere un grande mercato di consumo per beni che arrivano da fuori e che non vogliamo né possiamo più produrre: tant’è che noi incentiviamo gli acquisti di auto elettriche, gli altri incentivano i produttori. Vedremo quanto di questo monito verrà preso in considerazione da un’Europa che fatica enormemente pure a far rispettare le regole per affittare le spiagge.
Nel frattempo c’è da rianimare velocemente un’economia che va ai 30 all’ora (e non certo per motivazioni ecologiche), trascinata in giù da una Germania ormai in crisi strutturale. L’innalzamento dei tassi – che Draghi aveva osteggiato in tutti i modi – alla fine è stato irrilevante contro l’inflazione (naturalmente scesa quando si sono aggiustate le cause che l’avevano infiammata), e invece dannosa agli investimenti e quindi alla crescita della produttività, il vero tallone d’Achille europeo.
La Bce quindi sta, con enorme prudenza, abbassando i tassi (ora al 3,5%) nella speranza di rianimare così economie che producono meno ricchezza di quanta ne consumano. Per adesso si dà ragione sempre di più agli stampatori di carte geografiche che posizionano a destra le Americhe, al centro il Pacifico, a sinistra l’Asia e, in fondo e in alto, l’Europa.