Al Due Palazzi è scoppiato un piccolo focolaio subito contenuto. Le attività dei volontari si fermano
Alla fine, com’era prevedibile, il contagio è riuscito a infiltrarsi anche nella Casa di reclusione Due Palazzi, seppur con un numero contenuto di casi (sette detenuti positivi e otto agenti) subito isolati grazie all’attività sinergica tra l’Ulss 6 e la direzione dell’istituto che hanno isolato i positivi e tentato di tracciare il contagio per contenerlo.
Fino ad ora il Covid aveva risparmiato il Due Palazzi, piccola città, in un lembo di periferia padovana, che conta oltre un migliaio tra persone detenute (580), agenti e personale amministrativo (circa 400) e civili che ogni giorno ne varcano il cancello per attività lavorative e di rieducazione.
L’ala del carcere dedicata al polo universitario, riconvertita a sezione Covid sta ospitando l’isolamento delle persone detenute che stanno affrontando il decorso dell’infezione.
«La situazione non è allarmante – precisa il direttore Claudio Mazzeo –ma è innegabile che il virus circola e per questo stiamo osservando la massima attenzione per tenerlo fuori. Adesso saremo ancora più rigorosi per far rispettare tutte le norme igieniche contro l’infezione». Di una cosa il direttore del Due Palazzi è sicuro: «Le visite con i familiari per il momento non si sospendono, sebbene continueranno a svolgersi con i minori contatti possibili e da dietro al plexiglass».
La pasticceria Giotto
Alcuni dei casi d’infezione sono stati individuati tra i civili e i lavoratori detenuti della pasticceria Giotto che, per mettere in sicurezza l’interno comparto produttivo, ha subito il drastico taglio della forza lavoro a disposizione in un momento cruciale per la realizzazione del suo prodotto di punta: il panettone Giotto conosciuto in tutto il mondo per la qualità e l’originalità della lavorazione e delle materie prime utilizzate.
«Al momento sono attivi solo quattro maestri pasticceri civili – racconta Matteo Marchetto, presidente della Work crossing, la cooperativa che gestisce la pasticceria – tutti gli altri 27 lavoratori detenuti, invece, sono in isolamento fino alla prossima settimana. Per fortuna, il laboratorio che produce gelato, cioccolato e si occupa del confezionamento, non è stato intaccato trovandosi in un capannone esterno ma sempre all'interno del carcere. Abbiamo rispettato tutti i dettami sanitari, ma il rischio è inevitabile dovunque con questo virus subdolo. Continueremo a operare sotto stretta sorveglianza sanitaria: il virus è arrivato, l’abbiamo aggredito con l’aiuto di tutti e continueremo a farlo senza fermarci».
La parrocchia del carcere
Da venerdì 6 almeno fino al 15 novembre, si sono fermate tutte le attività di volontariato: sono oltre un migliaio le persone che periodicamente, molti anche ogni settimana, prestano servizio gratuito nell’istituto di pena rispondendo alle esigenze più diverse (istruzione, sport, musica, cultura, teatro, informazione, spiritualità...) e anche procurando con gratuità beni di prima necessità (vestiario, prodotti per l’igiene…) per molti detenuti privi di risorse.
Anche la parrocchia del carcere, che dai primi di settembre aveva ripreso le celebrazioni con un numero contingentato di volontari a rotazione nel rispetto delle norme, ha dovuto fermarsi da sabato 7 novembre.
La presenza del cappellano don Marco Pozza è comunque assicurata, come lo è stata durante tutto il lockdown e nei lunghi mesi di chiusura del carcere ai volontari.
Le celebrazioni del sabato e della domenica mattina sono un momento fondamentale per le persone che vi partecipano – detenuti, volontari, diaconi, religiosi – perché aiutano a scandire il ritmo della settimana tra le sbarre, ad avere un obiettivo e, soprattutto, rappresentano un respiro umano e comunitario di cui si sente la mancanza quando non è possibile viverlo.
La comunità parrocchiale aveva iniziato a rinsaldarsi dopo i lunghi mesi di stop causati dall’emergenza, sebbene i contatti con molte delle persone detenute della parrocchia non si fossero mai interrotti grazie alla corrispondenza intrattenuta con i volontari e i diaconi. Ora le dita restano incrociate perché le cose non peggiorino e per poter ricominciare quanto prima ad animare la vita della piccola, quanto preziosa, comunità parrocchiale incastonata tra “ferro e cemento”.