A bordo di Open Arms, vittime di violenza e bambini. “Non resistiamo a lungo”
Sono 121 in tutto ancora a bordo della nave: tra loro 32 minori (27 non accompagnati). Le storie delle donne salvate raccontano di maltrattamenti e abusi in Libia
ROMA - Le più piccole, Musa e Isa, sono due sorelle gemelle di nove mesi, che viaggiano insieme alla mamma. Riposano sul ponte della nave, poco distanti da Hayada. Anche lei viaggia insieme alla madre, Safa, segnata non solo nel corpo, dalle violenze subite per 9 mesi nei centri di detenzione libici. Ha provato a proteggere sua figlia, per questo è stata più volte abusata e violentata, racconta. In tutto sono 121 le persone salvate in mare dall’ong spagnola Proactiva Open Arms, che da una sei giorni attendono di poter approdare in un porto sicuro. I minori a bordo sono 32, 28 dei quali non accompagnati. Ieri Malta, che ha consentito nei giorni scorsi l'approdo della Alan Kurdi, ha detto no all’ong spagnola.
Rimpallo di responsabilità tra Italia e Malta: persone già in emergenza
“C’è un rimpallo tra Italia e Malta. I nostri avvocati stanno iniziando a mettere in atto anche azioni legali, di concerto con il Tribunale dei minori. Il porto di sbarco deve essere quello più vicino e sicuro - spiega Riccardo Gatti, direttore di Open Arms -. I soccorsi sono stati effettuati in una zona dove il porto più sicuro e vicino era Lampedusa e perciò, seguendo le normative internazionali, abbiamo fatto richiesta di sbarco, senza ottenere risposta. A bordo per ora la situazione è stabile, ma non potremo aspettare troppo a lungo”. Il giorno dopo il soccorso 3 donne, due in gravidanza e la sorella di una di queste, sono state evacuate d’urgenza. Una era al nono mese, l'altra all'ottavo, con bimbo podalico e dunque a rischio. Dai loro racconti è emerso che avevano subito violenza sessuale in Libia. Una delle due ragazze ha visto morire il marito nel centro in cui erano entrambi detenuti. “Abbiamo dovuto operare un’evacuazione di emergenza, ma a bordo restano 32 minori - spiega Gatti -. Abbiamo ancora un po’ di scorte di cibo, ma ogni giorno si devono preparare 450 pasti, per cui non potremo andare avanti troppo a lungo. Queste situazioni vanno risolte subito, nel rispetto delle convenzioni e delle leggi del mare. Ma ormai sia da parte del governo italiano che degli altri governi c’è un ricatto e una violenza continui contro queste persone, che non sono semplici migranti ma naufraghi. Il copione è quello di sempre. Per ora non pensiamo di forzare il porto, attendiamo di capire come evolverà la situazione. La nostra priorità è quella di tutelare le persone, che sono già in emergenza, hanno subito violenze e abusi”.
Salvini ribadisce il no allo sbarco: "In 6 giorni arrivavano in Spagna"
Intanto ieri è stato approvato in via definitiva il decreto sicurezza bis, che inasprisce le pene proprio per le organizzazioni che fanno soccorso in mare. Inoltre, stamattina il ministro dell’Interno ha ribadito il no allo sbarco: “La Open Arms è da sei giorni nel Mediterraneo e ora minaccia di entrare in Italia. Avrebbe avuto tutto il tempo per raggiungere la Spagna, il Paese della ong, che ha dato la bandiera alla nave e dove alcuni sindaci si sono esposti a favore dell'accoglienza - afferma Matteo Salvini -. Ma forse questi signori vogliono fare solo una provocazione politica: evidentemente la vita delle persone a bordo non è la loro vera priorità, ma vogliono a tutti i costi trasferire dei clandestini nel nostro Paese. Si ricordi, la Open Arms, che per lei le acque territoriali italiane sono chiuse e siamo pronti a sequestrare la nave”. Per Gatti si tratta di affermazioni che hanno solo “l’obiettivo di distogliere l’opinione pubblica dai veri problemi: dal canto nostro possiamo dire che sono sei giorni di violazioni e abusi da parte del governo italiano. Quando c’è una situazione di distress è normale che le persone vengano salvate in mare e sbarcate il prima possibile. Perché per le persone migranti non si fa? E’ un atteggiamento razzista” .
Safa, Horthensia, Rabiya. Le storie delle donne a bordo di Open Arms
Nelle scorse ore l'ong ha diffuso alcune delle storie delle persone salvate. Tra loro C'e' Rabiya, madre di due bambini di nove mesi. "È fuggita dal Camerun per un conflitto legato alla terra nella sua regione che portò alla morte di suo marito - ha raccontato il soccorritore Francisco Gentico alla stampa spagnola - sarebbe stata la prossima a morire, e così ha deciso di scappare in Libia, dov'e' stata detenuta". C'è Hortensia, "gravemente ustionata - spiega Veronica Alfonsi, coordinatrice in Italia di Open Arms - perché in Libia il suo 'kapò' le ha gettato addosso della benzina prima che si imbarcasse. A contatto con l'acqua di mare, le ha bruciato la pelle". In generale "possiamo dire che vengono quasi tutti da Paesi per i quali è possibile la richiesta d'asilo" spiega Alfonsi all’agenzia Dire: "siamo convinti di essere nel giusto, ma anche dalla parte della legge e del diritto internazionale, che è sovranazionale". Nel caso la situazione dovesse aggravarsi, l’ong non esclude di entrare in un porto italiano, come ha spiegato stamattina il fondatore di Open Arms Oscar Camps in un’intervista. Ma l’ipotesi non sembra contemplata nell'immediato.
Eleonora Camilli