A Calais lo sciopero della fame in chiesa per i diritti dei migranti. Il gesto di tre attivisti per smuovere le coscienze
Nella chiesa di San Pietro a Calais, tre attivisti hanno deciso di smettere di mangiare per protestare contro l’aumento delle violenze della polizia verso i migranti. Esasperati dal totale silenzio dello Stato, Ludo, Anaïs et don Philippe hanno deciso la forma di protesta più radicale per ottenere tre cose: sospendere gli sgomberi quotidiani e lo smantellamento dei campi durante il periodo invernale; fermare la confisca delle tende e degli effetti personali dei migranti; aprire un dialogo tra autorità pubbliche e associazioni sull'apertura di punti di distribuzione ben localizzati per i beni necessari. Il Sir ha raggiunto telefonicamente don Louis-Emmanuel Meyer, parroco della chiesa di San Pietro.
È il decimo giorno di sciopero della fame per Ludo, Anaïs e don Philippe, sacerdote di 72 anni cappellano del Sécours Catholique. Accolti nella chiesa di San Pietro a Calais, i tre attivisti hanno deciso di smettere di mangiare per protestare contro l’aumento delle violenze della polizia verso i migranti. Nel solo mese di settembre, la polizia ha smantellato e distrutto almeno 379 tende e teloni, 46 borse, 17 biciclette, 14 materassi e 52 sacchi a pelo, dicono con precisione i dati riportati da “Faim aux frontières ”. Gli effetti personali (borse, telefoni, documenti d’identità, caricabatterie, passeggini) vengono trafugati dalla polizia, e il recupero è reso impossibile per gli immigrati. Questo avviene ormai da mesi, ma con l’arrivo dell’inverno queste confische mettono in pericolo la vita delle persone.
Esasperati dal totale silenzio dello Stato, Ludo, Anaïs et don Philippe hanno deciso la forma di protesta più radicale per ottenere tre cose:
sospendere gli sgomberi quotidiani e lo smantellamento dei campi durante il periodo invernale; fermare la confisca delle tende e degli effetti personali dei migranti; aprire un dialogo tra autorità pubbliche e associazioni sull’apertura di punti di distribuzione ben localizzati per i beni necessari. “Il buon senso”, dice il manifesto che accompagna lo sciopero, “esigerebbe che in una Repubblica che predica la fraternità queste richieste trovassero subito risposta”. E ancora:la fraternità “che noi pratichiamo con queste persone ogni giorno non si fonda su identità date da documenti, ma sull’evidenza che apparteniamo alla stessa umanità,
così come condividiamo una comunità di destini sul nostro pianeta”. Il Sir ha raggiunto telefonicamente don Louis-Emmanuel Meyer, parroco della chiesa di San Pietro.
Perché li avete accolti nella chiesa?
Vogliamo che sia una manifestazione pubblica, che possa essere conosciuta. Bisognava proteggerli da una possibile espulsione: se fossero stati in un luogo pubblico avrebbero rischiato di essere cacciati.
Come stanno Ludo, Anaïs e don Philippe?
Sono in piedi, mi sembra stiano bene, anche se un po’ indeboliti. C’è un medico che li segue e non ci sono pericoli immediati.
Dove stanno fisicamente?
Nella chiesa ci sono diverse cappelle e loro sono in una cappella vicino all’ingresso, che non impedisce l’accesso alla Chiesa dove tutto continua normalmente. Ci sono le celebrazioni e le iniziative già programmate, come concerti o cose del genere. C’è un’ottima coabitazione.
E che cosa fanno tutto il giorno?
Ricevono tante visite, da persone normali che vogliono incontrarli, tanti giornalisti. Ma organizzano anche momenti di scambio o tavole rotonde.
La protesta ha suscitato qualche risposta da parte della comunità politica?
La sotto-prefetto è passata lunedì e ha discusso con loro. Sulle tre rivendicazioni non ha dato risposta.
Quante persone sono a Calais e sono di fatto coinvolte nelle azioni della polizia?
Lo Stato stima che a Calais ci siano tra 800 e 1000 migranti e rifugiati, ma in realtà le associazioni che, su richiesta dello Stato stesso, distribuiscono il cibo dicono che servono più di 1000 pasti al giorno. Alcuni parrocchiani che ricaricano i cellulari per loro ci hanno detto che in un giorno hanno ricaricato 1300 telefoni.
Dove stanno tutte queste persone?
Il punto è questo: fanno fatica a sopravvivere perché tutte le mattine o ogni due giorni la polizia arriva e li fa sgombrare, li fa scappare e distruggere le tende, ruba gli effetti personali.
Perché non si vuole vedere la migrazione a Calais. Ma le persone ci sono.
Di notte cercano di spostarsi in Inghilterra, e sperano di risposarsi di giorno, ma è reso loro impossibile. C’è un vero problema umanitario: il diritto al sonno, condizioni di vita umane, il nutrimento, il ripararsi dal freddo sono loro negate.
Lei ha ricevuto anche delle proteste contro questo suo gesto di accoglienza. Che ne pensa?
Non credo si debba dare troppa importanza.
Si tratta certamente di una persona sola, non è la reazione dei parrocchiani, che sono con noi in questa iniziativa, in modo molto unanime.
Il nostro approccio al problema non è politico, è umanitario: ci sono persone che hanno bisogno.
Ci sono solo cristiani coinvolti nella battaglia?
No, questa protesta è sostenuta dai cristiani ma anche molte associazioni a-confessionali.
Quello che le associazioni fanno di giorno, lo Stato lo distrugge la notte e non sappiamo più come fare per fermare questi maltrattamenti.
Siamo sostenuti anche dal vescovo, che è venuto a trovare i tre attivisti. C’è un sacco di sostegno.
Fino a quando continueranno?
Fino a quando avranno almeno una risposta. Sono vent’anni che a Calais ci sono persone migranti. Ma la nostra richiesta adesso è davvero semplice: che durante l’inverno si lascino stare le tende. Certo c’è un livello politico che riguarda la questione migratoria, ma qui a Calais adesso, siamo su un piano umanitario, che ne è la conseguenza, e
la priorità è nutrire, vestire, soccorrere.