Nella Parola la verità. Al convegno triveneto sulla liturgia il tema del ritrovare forza dall'Eucarestia
Ritrovare forza dall’Eucaristia, tema del convegno triveneto sulla liturgia, significa ritrovate tutto, intorno all’altare
Non era prevista la gentilezza di un’estate così miracolosamente lunga, così soave e leggera intorno alle pietre romaniche della basilica di San Zeno, del portale del Duomo di Santa Maria Matricolare, eppure anche di questo trattava il convegno sulla liturgia delle Chiese del Triveneto, “Ritrovare forza dall’Eucaristia”, organizzato dalla Commissione per la liturgia della Cet, che si è svolto a Verona il 30 settembre. Anche dei riflessi candidi del sole sull’Adige. Perché “ritrovare forza dall’Eucaristia” significa ritrovare tutto, intorno all’altare. Capire che dentro l’“alleanza” c’è posto pure per il nesso tra il “bel Pastore” – così il Signore si definisce al capitolo 10 del Vangelo di Giovanni – e la “bella Verona”, come Shakespeare chiamava questa città stupenda, dove il turismo non conosce sosta. Forse il nesso più difficile da cogliere e da trasformare in annuncio: quanto la bellezza dell’universo, il fulgore del contingente, le buone opere siano gloria del loro Creatore. Il rito cristiano ha come materia prima i “segni sensibili” di cui parla la costituzione del Vaticano II Sacrosanctum Concilium, ed è per questo che non c’è nessuna povertà in chi si stacca dai concerti suonati sui balconi, che animano i sabati ameni di Verona, e va a piangere intorno all’altare la propria conversione, il proprio pentimento, l’amore del Salvatore. La mattinata del convegno ha visto raccogliersi a San Zeno quasi un migliaio di persone, delegazioni di tutte le Diocesi del Triveneto accompagnate dal proprio vescovo, e si è aperta con il canto di un inno e la lettura del capitolo 8 del libro di Neemia, dove lo scriba e sacerdote Esdra porta in mezzo all’assemblea il rotolo della Legge di Mosè e lo proclama finché il popolo è travolto dall’emozione e piange. È seguito il primo intervento di mons. Marco Busca, vescovo di Mantova e presidente della Commissione per la liturgia della Cei, che si è soffermato soprattutto sul senso dell’ascolto della Parola di Dio come esperienza di verità. Una verità più grande del tempo, immensamente più robusta del Castello Scaligero poco distante dalla basilica, eppure silenziosa e lieve come le lacrime che bagnano le guance degli ebrei appena tornati in patria, stravolti dalle guerre, dall’esilio, dall’incapacità di rimanere fedeli e grati a chi non aveva fatto altro che soccorrerli per secoli e secoli e prima dei secoli, sollevandoli su “ali d’aquila”. Il breve concerto offerto dall’Orchestra di Padova e del Veneto ha trasformato in arte queste lacrime, e neanche il momento conviviale, nel cortile dell’Istituto Don Bosco, ha interrotto la compostezza della giornata, il suo continuo voler tornare a Cristo come motivo di ogni perfetta consolazione. Il pomeriggio è stato occasione per scoprire nuovi splendori dell’arte religiosa veronese e per seguire mons. Busca in una riflessione ancor più preziosa per la Chiesa impegnata nel suo Sinodo. La liturgia, infatti, non rinuncia all’urgenza dell’evangelizzazione. È proprio quando l’uomo si spoglia dell’“io”, abbandonando un egocentrismo superbo e precario, che la sua voce e la voce dei suoi strumenti si fa robusta, e il pianto diventa pietra e canto, e la parola fuoco, e il fuoco ancora parola, e l’amore ricevuto amore agito. Il rito cristiano è questo: ricevere l’agire salvifico del Signore, assimilare la vittoria della sua Pasqua, trovare in questa grazia l’impeto per guardare ai fratelli non in un’ottica competitiva, ma con la sapienza di chi si sa destinato ad altezze ben più mirabili dei successi mondani. Così il vescovo di Mantova ha letto l’ardore apostolico di Paolo: «Questo è il significato del “debito di carità” che Paolo sente di avere, in ordine all’annuncio, “verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti” (Rm 1,14). Da costoro l’apostolo non ha ricevuto nulla, ma quello che lo muove è la restituzione del dono della vita di Cristo che “ridonda” nella missione per attirare a Lui il maggior numero. L’annuncio esplicito del nome del Donatore in vista di un’adesione alla fede non è proselitismo, ma appartiene alla logica del dono, che implica un debito di annuncio verso quanti non conoscono ancora Cristo». E questo ardore vibrava nella voce di suor Elena Massimi, che ha offerto un breve rilancio pastorale, e in quella piena di autorevolezza del patriarca di Venezia Francesco Moraglia, che ha presieduto la messa conclusiva. Questo fuoco, che ci chiede sempre più rigore, sempre più saldezza, sempre più bellezza vera, sempre più genio nell’obbedienza.
Anna Valerio