I linguaggi della catechesi. Scegliere il digitale è una missione impossibile? Ci vogliono strategie
Non basta – ai catechisti/educatori – apprendere tecniche o nuovi linguaggi. Va ristrutturato, prima di tutto, il proprio modo di comunicare
Quella di risultare più incisivi nella comunicazione con le ultime generazioni, soltanto perché si fa un ampio utilizzo degli schermi digitali, risulta spesso soltanto un’illusione: primo perché non è facile utilizzarli in maniera appropriata, serve preparazione, e poi perché è fondamentale ristrutturare il proprio modo di comunicare ancor prima di prendere in considerazione linguaggio e mezzi.
Il ritmo, ad esempio, risulta una griglia fondamentale per strutturare la trasmissione di contenuti: essere troppo abbondanti, non concedere pause, voler tenere a tutti i costi incontri della durata di un’ora significa già compromettere l’efficacia della nostra comunicazione, tanto più se si trattano temi che hanno a che fare con la sfera religiosa e con gli itinerari di iniziazione cristiana.
Lo stile è un altro elemento che sembra accessorio ma in realtà risulta focale: proporre incontri di catechesi in maniera noiosa può far associare l’idea che il vissuto dei cristiani sia noioso e che addirittura Dio ci possa annoiare con le sue indicazioni, comandamenti e libri che ha ispirato; così pure incontri sciatti possono trasmettere la sensazione che il cristianesimo non sia cosa seria
Più che soffermarci sull’uso degli strumenti tecnologici, quindi, risulta opportuno concentrare l’attenzione su alcuni paradigmi e strategie che animano l’ambiente digitale, così che le intuizioni fornite possano stimolare ulteriori attività create direttamente dai catechisti.
Partiamo con l’indagare una strategia di comunicazione abbastanza diffusa nell’ambiente digitale ancor prima di segnalare qualsiasi tipo di attività concreta. Cosa serve questo per i laboratori su catechesi e Vangelo? Ci aiuta ad analizzare una dinamica che possiamo riutilizzare per rendere più efficace ciascun incontro.
Se vi fosse mai capitato, durante un viaggio in auto, di fermarvi su una stazione radiofonica non tanto per l’argomento, ma solamente per il tono della voce ascoltata, magari caldo e suadente, ricco di armoniche gradevoli e con una dizione ben impostata, allora avrete fatto esperienza di questa semplice regola di comunicazione: ciò che sta sullo sfondo può essere più importante di ciò che appare in primo piano. Il tipo di voce attrae ancor prima del contenuto.
Ciò che è considerato strumento o accessorio in realtà sembra già creare un senso, un ambiente in cui ci si ferma volentieri. Il Vangelo di Giovanni ci fornisce un’indicazione preziosa in merito: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (10,27), dimostrando chiaramente che il rapporto fondamentale con Cristo si apre attraverso il riconoscimento e la fiducia, prima ancora che attraverso la logica e la comprensione.
Questo risulta più evidente a chi ha sperimentato la relazione tra catechisti e ragazzi non soltanto come mezzo per far transitare alcuni contenuti, ma come un rapporto vitale, generativo alla fede, ricco di senso. Marshall Mc Luhan, un teorico della comunicazione, ci ha avvisati: «Il mezzo è già il messaggio». Quindi il messaggio più efficace che possiamo utilizzare è proprio il nostro corpo con la sua storia originale e irripetibile, e quindi anche le nostre parole, gesti e pensieri, al di là di ogni mediazione digitale.
Concretamente questo “spostamento di piani” che cosa significa? Che la disposizione e l’arredamento della stanza nella quale si incontrano abitualmente i ragazzi, ad esempio, è già di per sé un messaggio; che preparare con cura il luogo in cui proporre un momento di preghiera crea un senso compiuto tanto quanto i testi predisposti nel foglietto guida, che solitamente polarizzano eccessivamente la nostra cura. Per i giovani destinatari queste attenzioni, che spesso giudichiamo come accessorie e non essenziali per lo scopo da raggiungere, potrebbero già significare: voi siete importanti per me, pregare è un’attività piacevole e rigenerante, il calore e il benessere che vivete in questa stanza raccontano di una Chiesa accogliente, e così via.
Strutturare il linguaggio per l’ambiente digitale non significa, quindi, soltanto apprendere tecniche o nuovi linguaggi, ma ristrutturare quelli appresi nella logica alfabetica secondo le strategie di base che governano la comunicazione mediata dall’elettronica.