Covid-19. Presbitero e popolo sono uno in Cristo
Nel tempo del Covid-19 ogni prete che ha celebrato l’eucaristia da solo, o con un numero esiguo di cristiani, ha fatto sì che l’azione liturgica della Chiesa chiamasse a raccolta l’intera comunità. Nel periodo di carestia eucaristica, il presbitero non è stato un privilegiato: la messa non è una pia devozione legata al prete, ma è il cuore della missione della Chiesa
Alla domenica, l’unico che parlava nella chiesa gremita di gente, contento di incontrare le persone, era il prete che celebrava la messa. Queste sono le immagini impresse nella mente e nel cuore di un bambino che partecipava all’eucaristia festiva insieme alla sua famiglia. Intuivo che stava bene in mezzo alle persone perché tutti lo salutavano volentieri e lo invitavano nelle proprie abitazioni. Venne anche a casa mia, più volte, e ricordo ancora la gioia di averlo con noi a mangiare.
Il prete è un fratello tra fratelli che condivide, nel quotidiano, le esperienze dure ed esaltanti delle persone con le quali vive e, contemporaneamente, è pastore della comunità in cui è inviato. Sperimentiamo ciò quando visita le famiglie, quando è disponibile per un dialogo, quando ci aiuta a pregare e soprattutto quando presiede la messa domenicale, Pasqua del Signore. A proposito di eucaristia, san Giovanni Paolo II ci ha insegnato che tutta la Chiesa «vive del Cristo eucaristico, da Lui è nutrita, da Lui illuminata» (EdE n. 6). E il Concilio ci ricorda che il prete «compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo» (LG 10). Il presbitero, infatti, durante l’eucaristia svolge un servizio proprio che si concretizza nella presidenza dell’assemblea, ciò non lo pone al di sopra ma all’interno della comunità dei credenti. Il suo ruolo è distinto in quanto è comunitario.
Per aiutarci a comprendere il rapporto che intercorre tra la comunità cristiana, il presbitero e la celebrazione eucaristica recuperiamo l’immagine del corpo suggeritaci da san Paolo (1Cor 12). Ogni parte del corpo svolge una funzione propria, unica, e la sua attività è tanto più efficace quanto più è vitalmente unita alle altre parti. La vita fisica e la vita di fede sono possibili perché esiste questa integrazione fra le parti che le generano. Il celebrare del prete è un celebrare da un punto specifico dell’assemblea per espletare al meglio il ministero della presidenza, simbolo della presenza di Cristo nella Chiesa e della Chiesa che vive sotto l’azione di Cristo (LG 10 e 28).
Nel tempo del Covid-19 ogni prete che celebra l’eucaristia da solo, o con un numero esiguo di cristiani, fa sì che l’azione liturgica della Chiesa chiami a raccolta l’intera comunità, anche se fisicamente è rappresentata solo in parte, e fa vivere alla Chiesa l’evento fondante che è la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.
Nel periodo di carestia eucaristica, il presbitero non è stato un privilegiato: la messa non è una pia devozione legata al prete, ma è il cuore della missione della Chiesa. Il ministero del prete vive e si sostanzia all’interno del ministero di Cristo che convoca e costituisce l’assemblea eucaristica, simbolo di tutta la Chiesa. La comunità cristiana quindi “celebra l’eucaristia nella messa celebrata dal presbitero”. Presbitero e popolo di Dio sono vitalmente uniti, sono uno in Cristo. Ho trovato tutto questo esemplificato nelle parole semplici, ma dense di esperienza di un nostro parroco: «Sono diventato prete non per avere dei privilegi, non per insegnare teologia…, ma per celebrare l’eucaristia: questo è il mio “lavoro”. Tutti gli altri servizi che mi sono richiesti sono contenuti e trovano senso in questo sacramento. Dispiace e rattrista che non ci siano persone a celebrare con me l’eucaristia, ma davanti a quel crocifisso insieme a me ci sono tutti i miei parrocchiani vivi e morti: come ogni cristiano, credo nella comunione dei santi, e non sono solo». Mi vengono in mente le parole dell’apostolo Pietro rivolte ai presbiteri (anziani) contenute nella sua prima lettera: «Pascete il gregge di Dio che è tra voi» (1Pt 5, 2). Sono simili a quelle che lui aveva ricevuto dal Signore: «Pasci le mie pecorelle!» (Gv 21,16).
don Antonio Oriente,
padre spirituale del seminario minore
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