La felicità del Salmo 1. Com’è l'uomo che ha scelto il bene?

L’uomo cerca la felicità, ogni uomo la desidera e più ancora è Dio che desidera la felicità della sua creatura.

La felicità del Salmo 1. Com’è l'uomo che ha scelto il bene?

Il salmo 1 è come l’apertura di uno splendido tesoro, composto, come sappiamo, da ben 150 componimenti. È evidente la volontà del redattore finale del Salterio (nel III-II secolo a.C.) di metterlo in testa non solo per la sua oggettiva bellezza, ma anche e soprattutto per la sua valenza di proemio sintetico di tutto il messaggio della grande raccolta. Il suo inizio già ci introduce nel centro del discorso religioso, al nucleo della preghiera: “Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi”. Dunque il carme si apre con un riferimento alla beatitudine, alla parola ebraica che significa “felicità”. L’uomo cerca la felicità, ogni uomo la desidera e più ancora è Dio che desidera la felicità della sua creatura. É per questo motivo che in alcuni testi questo salmo è intitolato “le due vie”, proprio perché è costituito da un dittico che descrive la via del bene e la via del male, entrambe presenti nel mondo. Perché allora non immaginarsi, dando per un attimo spazio alla fantasia, ad una grande madia di legno chiaro, come quelle che si trovano nelle case di montagna di molti paesi delle nostre Alpi. Una grande credenza nella sala centrale della casa, quella più vissuta, quella in cui si trova il focolare o la stufa, quella, in particolare, in cui la famiglia si riunisce per mangiare e magari iniziare i pasti e le cene con un breve momento di raccoglimento. Un quadro che illumina e guida la vita di ogni famiglia riunita. Quanto sarebbe bello che le due ante di questo voluminoso mobile fosse dipinto con i paesaggi delle due vie. Pare di vederla questa contrapposizione, fatta di una metà luminosa e una metà più scura. Eppure la nostra vita non procede secondo un andamento binario: noi sappiamo nella nostra coscienza quale sia la via del bene; i primi cristiani venivano chiamati quelli della Via e Gesù stesso si definisce “via, verità e vita” (Gv 14,6), ma questo non significa che sia facile seguirlo. L’uomo che desidera la felicità, recita il salmo, ha bisogno di resistere alla tentazione che è raffigurata con tre verbi di movimento: “non entra”, “non resta” e “non si siede” coi peccatori e gli arroganti (v. 1). Si tratta di vincere una tentazione che è progressiva e porta a cedere sempre più, mentre l’uomo che vuole essere felice “nella legge del Signore trova la sua gioia” (v. 2). Dunque la legge, la Torah per il popolo ebraico non è disegnata sulla nostra anta come un vincolo, una catena a cui legarsi con cieca ubbidienza, ma come una fonte di gioia, un insieme di parole (più che di “comandamenti”, secondo un’accezione che facciamo fatica a superare) che attraggono nel modo più puro il nostro desiderio, perché comprendiamo nella fede che ci sono donate da Dio per vivere in pienezza la vita, appunto per la nostra gioia. Allora questa legge è un “giogo leggero” e posso meditarla “giorno e notte” (v. 2). È lo Schemà Israel (“Ascolta Israele”), la preghiera che l’ebreo osservante recita più volte al giorno: “questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, li reciterai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Dt 6,6-7). Il salmo 1 pare proprio a corollario della grande litania del Deuteronomio. E poi l’anta che raffigura l’uomo che ha scelto la via della felicità è descritto con un’immagine sublime e simbolica: Com’è questo uomo che ha scelto il bene? È vitale come un albero, ma non un albero qualunque: perché è stato “trapiantato” cioè volutamente innestato vicino all’acqua, la fonte che gli dà vita. È un albero che darà frutti “a suo tempo” e quindi necessita di essere paziente con se stesso così come paziente è il suo agricoltore, il Dio che lo ha creato e che poi però ha foglie che non appassiscono e questi sono i frutti dai quali saranno riconosciuti coloro che amano davvero, come dirà anche Gesù. Il fatto che “tutto quello che fa riesce bene” (v. 3), possiamo interpretarlo alla luce del Vangelo, quando Cristo ci dice che il seme germoglia e cresce come (il contadino) stesso non sa (Mc 4,27) perché è diventata opera Sua! Il salmo prosegue poi con l’anta dedicata ai malvagi, sembra che per loro non ci sia speranza, eppure il testo letterale può essere illuminante. Non è Dio che castiga i malvagi, se leggiamo con precisione, ma sono essi stessi che si disperdono come pula nel vento (v. 4) Se sui giusti veglia il Signore, asimmetricamente è “la via dei malvagi ad andare in rovina” non i malvagi stessi! C’è quindi ancor speranza, speranza fino all’ultimo che chi ha sbagliato si penta e lasci con la sua libertà la via del male.

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Fonte: Sir