Incontro Cei su Mediterraneo. Mons. Rossolatos (Grecia): “Osare la pace con la forza della debolezza”
"Osare la pace con la forza della debolezza": è racchiuso in queste parole il senso della presenza a Bari, all'incontro "Mediterraneo, frontiera di pace", dell'arcivescovo, presidente dei vescovi cattolici greci, mons. Sevastianos Rossolatos. La testimonianza di una Chiesa povera ma che non si tira indietro davanti ai bisogni della popolazione
“Osare la pace con la forza della debolezza. La storia della Grecia ha segnato profondamente quella del Mare Mediterraneo che oggi, purtroppo, non risponde più alla sua vocazione di luogo di scambio e di incontro. Le sue sponde, infatti, sono lambite da guerre, tensioni e crisi che si trascinano da anni. Spero che da Bari possano venire fuori prospettive unitarie di impegno per implementare lo sviluppo sociale, abbattere le ingiustizie e le iniquità e trasformare il Mare Nostrum in una frontiera di pace”.
Nelle parole del presidente dei vescovi cattolici greci, mons. Sevastianos Rossolatos, c’è tutto il senso e il significato dell’incontro promosso a Bari dalla Cei, dal titolo “Mediterraneo, frontiera di pace” (19-23 febbraio). Un vero e proprio “sinodo del Mediterraneo” al quale parteciperanno vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, tra i quali anche mons. Rossolatos. La profezia del sindaco “santo” di Firenze, Giorgio La Pira, che vedeva il Mediterraneo come un “grande lago di Tiberiade”, oggi è messa in pericolo da guerre nate da scelte interessate, da particolarismi segnati da “logiche coloniali avanzate dalle grandi potenze”.
La crisi non è finita. “Anche la Grecia non è esente da questi pericoli” rimarca al Sir l’arcivescovo di Atene. “Siamo un Paese che tenta con difficoltà ma anche con decisione di uscire fuori dalle pastoie di una crisi economica e finanziaria che ci ha messi in ginocchio. L’opera di risanamento intrapresa non è finita, anzi. Tuttavia ci sono importanti segni di cambiamento e rinnovamento come la recente elezione del primo presidente della Repubblica donna, il magistrato Ekaterini Sakellaropoulou. Un bel segnale per tutto il Paese che indica anche che i tempi sono maturati e che la società greca si sta aprendo. Una nomina – aggiunge – che va nella direzione di ricompattare il Paese. Un passo importante quando si deve camminare sulla strada del risanamento. Per superare definitivamente la crisi bisogna valorizzare ogni persona capace”. Anche la Chiesa cattolica locale sta portando il suo contributo fattivo alla ripresa guadagnandosi “un certo apprezzamento dal mondo politico”.
“Nel 2014, dopo tanti anni di sforzi, come Chiesa cattolica abbiamo avuto il riconoscimento della personalità giuridica. Di recente mi è stato chiesto di tenere un discorso al Parlamento sulla tratta degli esseri umani. Lo considero un gesto di apertura significativo. Si parla anche di un viaggio in Grecia di Papa Francesco e del Patriarca ecumenico Bartolomeo, ma ancora nulla di ufficiale”.
In prima linea. A fronte di tanto impegno non mancano, tuttavia, elementi di criticità. “I rapporti con gli ortodossi, le tasse, l’arrivo di profughi e di rifugiati in fuga dalla guerra, la mancanza di aiuti per sostenere la missione” e paradossalmente “l’aumento dei fedeli”. “Negli ultimi 30 anni – spiega mons. Rossolatos – la Chiesa cattolica greca è passata da 50 mila a circa 300 mila fedeli (su oltre 11 milioni di abitanti, ndr.), il 75% dei quali sono immigrati, il 25% greci. Un aumento che sta cambiando il volto della Chiesa locale”. Si stima che la metà dei parroci cattolici in Grecia sia di nazionalità straniera, polacchi, rumeni, qualche italiano. Nelle chiese cattoliche greche oggi si celebrano messe per le comunità filippine, polacche, africane e così via. “Questo è un bene ma c’è bisogno di preti che parlino la lingua degli immigrati. Questi ultimi si stabiliscono dove c’è lavoro e non dove c’è una chiesa. Ne deriva l’esigenza di costruire luoghi di culto vicini le loro case ma questo comporta spese impossibili da sostenere per noi. Le tasse da pagare superano il 50% e riducono di molto la nostra capacità di aiuto e le nostre attività pastorali”.
La guerra in Iraq prima e in Siria dopo ha spinto decine di migliaia di rifugiati ad arrivare in Grecia, via Turchia. Anche in questo caso la Chiesa cattolica greca, con la Caritas, e l’aiuto di altre Chiese e agenzie umanitarie, è in prima linea nel portare aiuto. “Si tratta – sottolinea l’arcivescovo – di un’opera difficile che punta anche all’integrazione, alla ricerca di un lavoro, di una casa. Senza dimenticare che ci sono centinaia di migliaia di greci disoccupati che stentano a vivere. Purtroppo l’Ue, che parla di solidarietà, ha chiuso le porte e così riusciamo a fare poco rispetto ai reali bisogni”.
Una chiesa povera e in missione. A Bari mons. Rossolatos ricorderà anche che “la Grecia, in qualche maniera, è un lembo di Terra Santa, perché – ricorda – qui è passato san Paolo, l’apostolo delle genti. Questo ci impegna a coltivare i rapporti e il dialogo con la chiesa ortodossa”. “Un fronte difficile – ammette il presule – quello ecumenico.
In Grecia esiste una diffusa mentalità di disprezzo della Chiesa cattolica e, quindi, di paura.
C’è un fanatismo contro di noi che dobbiamo provare ad allontanare. La popolazione ortodossa conosce la Chiesa cattolica solo per quello che alcuni fanatici dicono di lei. Non ci sono rapporti ecumenici ma solo buone relazioni personali tra fedeli, tra sacerdoti e vescovi. Chi, nel clero ortodosso, ha una maggiore apertura mentale non riesce ad influenzare il resto. Da parte nostra siamo aperti verso la Chiesa ortodossa, rispettosi, per cercare di collaborare laddove possibile. “Bari sarà un momento confronto e condivisione in cui – dice l’arcivescovo – mostreremo tutta la debolezza della nostra Chiesa, ma come ricorda san Paolo, ‘quando siamo deboli è allora che siamo forti’.
Osare la pace si può anche con la forza della debolezza.
La nostra Chiesa ha bisogno di aiuto. Siamo una Chiesa in missione che prega per far risvegliare negli altri valori di prossimità e solidarietà. Solo così il Mediterraneo potrà essere una frontiera di pace”.