Le trasformazioni avvenute in questi 25 anni nell'Europa centro-orientale secondo Toni Nicolov, docente di filosofia all'università di Sofia. Innanzitutto «per i cambiamenti occorre tempo»: la transizione dal comunismo alla democrazia ha portato grandi contraddizioni sociali. Tanto da spingere strati popolari a rimpiangere il comunismo con «il lavoro assicurato, il frigorifero pieno, lo stato sociale».
25 anni fa, quando andai a intervistare lo scrittore russo Andrej Pirlik, subito dopo il crollo del muro di Berlino, mi disse che l’esodo di massa, iniziato non appena dato l’annuncio dell’apertura delle frontiere, aveva soprattutto motivi economici: «La loro è un’economia alle corde. Chi vuole fare qualcosa vive nel vuoto». E poi pronosticava: «Ogni riforma passa prima o poi per l’abbattimento del muro di Berlino».
“Fughe dall’Est, accoglienza a Ovest: sempre meno frontiere. Tutti in Europa”. Così titolava la prima pagina della Difesa di domenica 12 novembre 1989. Nei numeri successivi, le tappe di una rivoluzione destinata a segnare la storia europea del Novecento.
Gli altri Muri che non sono caduti
25 anni fa cadeva il Muro di Berlino. Ma la lezione tedesca non è servita e ne spuntano di nuovi, come quelli di Israele con la Palestina e l’Egitto. Quello tristemente famoso che divide gli Usa dal Messico. E poi tra Ceuta e Melilla in Marocco, ma in territorio spagnolo. In costruzione quello tra Grecia e Turchia. Ci sono poi i muri meno conosciuti, come quello tra India e Bangladesh lungo 4000 km o quello di 2700 km nel deserto del Sahara.